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L’approssimarsi dell’interruzione estiva dei lavori parlamentari ha prevedibilmente messo uno stop alla discussione del disegno di legge Zan di contrasto all’omolesbobitransfobia, rinviandola nella migliore delle ipotesi al mese di settembre, campagna elettorale permettendo. La stagione politica si è chiusa con il paradosso che i partiti che hanno strenuamente difeso il testo, in coerenza con la posizione espressa col voto della Camera e - va sottolineato – in armonia con la volontà unanimemente rappresentata dalla comunità e dal movimento Lgbtqi+, sono stati accusati di voler rinviare sine die l’approvazione della legge e di essere refrattari a qualunque tentativo di mediazione. Ora, tutti sanno che qualunque mediazione, se anche si prescinde da considerazioni di merito, non farebbe altro che far ripartire l’iter legislativo del provvedimento incanalandolo su un binario morto. Però attraverso i media si tenta di veicolare l’idea che la responsabilità dello stallo è di chi in realtà più si sta spendendo per l’approvazione della legge.
Se è possibile che ci sia spinti tanto oltre nella mistificazione della realtà, questo dipende anche dal fatto che il dibattito intorno a questo tema è stato costellato, più che in altre occasioni, da notizie palesemente false, che però hanno trovato ampio spazio sui media e sui social: un settore non trascurabile dell’opinione pubblica si è così convinto che la legge tratti di gestazione per altri, di possibilità per le persone di accedere alla rettifica anagrafica del sesso con la sola autocertificazione (il cosiddetto self-id), di cancellazione delle donne e altre falsità che ripetute ossessivamente hanno finito per diventare, seppure totalmente infondate, parte integrante del dibattito. Per fare l’esempio più eclatante, se non ci trovassimo di fronte ad affermazioni fortemente lesive della dignità delle persone trans, ci sarebbe da sorridere di fronte ai deliri sugli “uomini (stupratori) che si dichiarano trans al solo fine di accedere alle carceri o alle competizioni sportive femminili”: argomentazioni che definire desolanti è un eufemismo, ma che hanno fatto breccia fino a diventare uno degli argomenti “contro” più ricorrenti anche in occasione dei Giochi olimpici attualmente in corso.
Un attacco alla legge realizzato attraverso argomenti estranei al testo, un escamotage già messo in atto ai tempi della discussione della legge sulle unioni civili. Ci sarebbe da interrogarsi su una informazione siffatta, sul livello del dibattito pubblico e sulla deontologia di chi mette in scena teatrini mediatici e anche politici, come nel caso della “audizioni-farsa” in Senato, nei quali scompare totalmente la voce delle soggettività oggetto della legge e si dà invece spazio a chi non ha alcuna competenza sul tema: è evidente che lo scopo di tutto questo è impedire una corretta informazione all’opinione pubblica buttandola in caciara per confondere le acque. Un po' come sta accadendo, su un tema diverso ma sempre relativo ai diritti della persona, con il referendum sull’eutanasia legale, per il quale però si è scelta una strategia contraria, quella del silenzio assoluto: in questo caso i sondaggi registrano un forte consenso sul disegno di legge e sulla proposta referendaria.
Ma limitarsi a queste constatazioni sul tenore dell’informazione in Italia rischia di sottorappresentare una realtà che ormai da almeno un decennio è estremamente più complessa e variegata per effetto del dibattito sui social: le false notizie di cui si diceva, infatti, hanno trovato il loro veicolo principale di circolazione proprio nei social network e mentre con i media tradizionali è possibile tentare una discussione, magari infruttuosa, sul corretto uso del mezzo e sul livello minimo di decenza a cui debbano attenersi, tutto questo diventa impossibile o peggio velleitario nel mondo social. Troll, fake news, profili falsi hanno infatti proprio lo scopo di drogare l’informazione, inquinare qualunque ragionamento e rendere virali le stesse notizie false. Se tentativi del genere sono riusciti a centrare obiettivi ben più ambiziosi, arrivando a condizionare i risultati elettorali in alcuni Paesi, come si può sperare di arginare il fenomeno in relazione a una singola legge? È evidente che in mancanza di normative più stringenti è impossibile porre un freno.
Pertanto l’alternativa consiste nell’agire per quanto possibile sull’informazione tradizionale, in particolare su quella del servizio pubblico, pretendendo il rispetto delle regole deontologiche e cercando di inibire la diffusione di false notizie e la presenza di discussant che hanno solo la finalità manifesta di drogare il dibattito. Dall’altro, occorre promuovere diffusamente occasioni di discussione e riflessione rispettose della realtà dei fatti: un elemento oggettivo e inoppugnabile dal quale partire esiste ed è il testo di legge approvato a novembre dalla Camera dei Deputati.
Sandro Gallittu è responsabile ufficio Nuovi diritti della Cgil nazionale