Intelligenza artificiale sì o no? Possiamo dire che la questione ontologica del ventunesimo secolo, dopo "l’essere o non essere” di Amleto e il cartesiano cogito ergo sum, sia proprio questa. L’uso delle nuove tecnologie ha ormai pervaso tutti gli ambiti della nostra vita quotidiana e si fa sempre più rilevante la riflessione sul rapporto tra IA, etica e pratica. Tra i contesti più interessanti, c’è senza dubbio quello del welfare, dove le nuove tecnologie rappresentano un potenziale enorme- e ancora solo parzialmente espresso – rispetto all’espletamento di servizi e tutele nei confronti di tutti i cittadini.
L’INDAGINE
Sul rapporto tra intelligenza artificiale e diritti di cittadinanza in Italia, si concentra l’indagine demoscopica promossa da Inca e realizzata dall’Osservatorio Futura con Fondazione Di Vittorio. La ricerca è stata presentata a Roma lo scorso 11 febbraio, nel corso dell’iniziativa Le ragioni di ieri, l’impegno di oggi, la strada per il futuro, per le celebrazioni degli ottant’anni del patronato della Cgil. Lo studio è la naturale prosecuzione della ricerca promossa dal patronato a fine 2024 su Pa e digitalizzazione. In quel caso, il quadro emerso era sconfortante: la quasi totalità (92%) degli intervistati aveva dichiarato di “non essere in grado di svolgere pratiche digitali con la pubblica amministrazione”.
IA E PA: UN CONNUBIO FELICE?
Il patronato si è dunque chiesto se la poca dimestichezza con le pratiche digitali della pubblica amministrazione potrebbe diventare un deterrente a fidarsi dell’intelligenza artificiale, come strumento per tutelare i propri diritti e vedersi garantite prestazioni come indennità, pensioni o sussidi. Dalla nuova indagine condotta, emerge che per circa il 20% del campione sarebbe utile il supporto dell’Ia nell’espletamento delle pratiche con la pubblica amministrazione e nelle comunicazioni personali, soprattutto per superare lentezze e liste di attesa. “L’utilizzo degli strumenti tecnologici non dà per scontato l’accettazione, e soprattutto la capacità di esercitare i propri diritti e ottenere le tutele attraverso gli strumenti digitali” ha commentato Mauro Soldini, del collegio di presidenza dell’Inca, nel corso della presentazione dell’indagine. “Quello che emerge – ha concluso Soldini - è la necessità di essere accompagnati in questo percorso”.
L’IMPORTANZA DEL FATTORE UMANO
Non è un caso, infatti, che per quasi tre persone su quattro la voglia di digitalizzazione sia controbilanciata dalla consapevolezza della necessità di un intervento umano. Quasi il 73% del campione ha risposto con un netto “sì” alla domanda “sarebbe utile che nello svolgimento delle pratiche online o digitali ci fosse l’opportunità di poter essere sempre supportato da una persona reale?”. Il servizio di supporto e assistenza svolto dai patronati non sembra dunque essere messo in discussione dalle evoluzioni digitali.
IL RUOLO DEI PATRONATI NELLA DIGITALIZZAZIONE
Il fattore umano, con il suo insieme di conoscenze e competenze specifiche da un lato, e il suo approccio empatico dall’altro, non smetterà di essere un filtro fondamentale e imprescindibile, per accompagnare i cittadini nella tutela dei loro diritti. “L’intelligenza artificiale è una tecnologia – si legge infatti nelle conclusioni dell’indagine - Non è di per sé negativa o positiva, ma va piuttosto utilizzata per massimizzare il benessere delle persone”.
VERSO IL WELFARE DEL FUTURO
Patronati e intelligenza artificiale non sono in conflitto tra loro. I patronati si sono digitalizzati, nell’ottica di rendere più semplice e accessibile la tutela. “Con lo stesso spirito guardano alle nuove tecnologie, che non devono semplicemente diventare un sostituto dell’interlocuzione umana tra pubblica amministrazione e cittadini, ma semmai semplificare i processi mantenendo al centro la persona”.