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Le discriminazioni non conoscono barriere culturali, geografiche, di ceto e di censo e a dimostrarlo c’è l’amara vicenda di Albertina Pretto, sociologa di 54 anni con una disabilità visiva, che ha visto sfumare la possibilità di essere confermata come ricercatrice all’università di Trento proprio perché discriminata in sede di concorso e non solo.
Vincitrice nel 2014 di un posto da ricercatrice nel suddetto Ateneo, dove già lavorava dal 2008 con diversi contratti di docenza e di ricerca, Pretto aveva presentato un certificato d’invalidità del 75% già al suo ingresso come ricercatrice perché la patologia stava degenerando. Una condizione che, col passare del tempo, le ha provocato l’ostilità di alcuni colleghi, tanto che nel 2017 si è anche dimessa dal Comitato unico di garanzia di Ateneo dove si occupava di disabilità.
In quel frangente, con una lettera indirizzata al Rettore, affermava che le dimissioni erano dovute al fatto che le sue sollecitazioni a favore di una migliore inclusione delle persone con disabilità, venivano costantemente ignorate. Nella stessa lettera lo informava anche che lei stessa era oggetto di comportamenti scorretti. Ma questa missiva, così come altre segnalazioni, è caduta nel nulla. “Sono stata anche insultata – racconta la sociologa – e mi sono stati negati gli ausili che avevo richiesto al fine di lavorare meglio.”
Scade il contratto da ricercatore e, come vuole la prassi, Pretto si accinge ad affrontare il concorso che l’avrebbe rinnovata di tre anni, al termine dei quali ci sarebbe stata la valutazione per la conferma a tempo indeterminato. “Già dalla pubblicazione del bando capisco che c’è qualcosa che non torna, un’idea che si rafforza col passare del tempo e di situazioni incresciose. E infatti il concorso viene fatto vincere a una persona che ha meno titoli di me e che è priva di abilitazione scientifica nazionale mentre io ne ho due. Il direttore mi offre allora un contratto di un anno per 30 mila euro. Ricordo bene che ha detto 'formalmente deve essere un bando su un tema indicato da te'. Io ero basita perché la proposta non mi sembrava nemmeno lecita: ho risposto solo che ci avrei pensato. Poi me ne sono andata e non mi sono più fatta sentire perché non volevo essere coinvolta in un’altra selezione poco chiara”.
Lo scorso luglio arriva la notizia: il ricorso presentato da Pretto al Tar è stato vinto. Ma la risposta dell’Università di Trento con la convocazione del nuovo concorso è arrivata solamente a dicembre, grazie alla notifica della sentenza e alla denuncia fatta dalla sociologa a mezzo stampa. Dopo una serie di vicissitudini legali, quindi, Albertina Pretto si accinge ad affrontare un nuovo concorso che però è già sicura di perdere.
Intanto, forte di un ragguardevole curriculum, è sempre stata attiva e, nonostante i danni psicofisici subiti, il forte dimagrimento, l’insonnia, l’ansia, Albertina organizza conferenze a livello internazionale, pubblica articoli su riviste sempre internazionali, partecipa all’ideazione di corsi per insegnanti. In procinto di promuovere una causa per discriminazione contro disabile su luogo di lavoro, è chiaro, come si percepisce dal tono della sua voce, che continuerà a battersi per quei diritti che, lo sa bene, non sono solamente i suoi.