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Un ministero dedicato, e non è detto sia una buona idea (i disabili non sono una categoria a parte ma cittadini e cittadine con diritti) e una campagna elettorale giocata anche sulle promesse per meglio “tutelare” le persone fragili, ma alle parole non seguono i fatti, anzi. Almeno per ora.
Il decreto lavoro
Sono quasi 1 milione gli uomini e le donne disabili iscritti nelle liste di collocamento, però il lavoro non riescono a trovarlo. Esiste una legge che prevede incentivi e sgravi per le aziende che li assumono, ma sembra funzionare poco. Molto ci si aspettava dal tanto propagandato decreto lavoro, ma le aspettative sono andate deluse “per quello che non c’è – afferma Nina Daita, responsabile nazionale Politiche per la disabilità della Cgil – e per quel che c’è".
Quello che manca
Nelle norme varate il Primo Maggio non c’è un piano nazionale di assunzioni di lavoratori e lavoratrici portatori di disabilità, come da tempo chiede la Confederazione di Corso d’Italia e manca anche un adeguato finanziamento del fondo che incentiva le imprese che assumono persone con disabilità.
Commenta la dirigente sindacale: “È auspicabile che il Governo predisponga un adeguato piano finanziario, in quanto il fondo (che quest'anno ammontava a 76.220.440 euro, ndr) che incentiva le imprese che assumono persone con disabilità già da mesi risulta esaurito. Ed è per questo che le richieste delle aziende restano pendenti, e di conseguenza le assunzioni".
Il decreto lavoro - dice ancora Daita - avrebbe dovuto prevedere risorse adeguate, sarebbe stato un segnale importante a favore delle politiche attive per l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità”.
Quello che c’è
L’articolo 1 della Costituzione afferma che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro: vale per ciascuno, portatore o meno di disabilità. Nella realtà però non è così. Per questo la Cgil non è certamente contraria all’estensione al terzo settore degli incentivi per l’occupazione dei disabili, ma ciò non deve significare che per loro occupazione possa essere solo, appunto, in questo tipo di organizzazioni. Dice a questo proposito Daita: “L’allargamento al terzo settore degli obiettivi occupazionali delle persone con disabilità non ci trova pregiudizialmente contrari, ma il fine ultimo deve rimanere sempre quello del rafforzamento di un sistema pubblico che garantisca uguaglianza, pari opportunità e inclusione lavorativa”.
Le discriminazioni del reddito
Il decreto, come si sa, non tratta solo di lavoro ma abolisce il reddito di cittadinanza, sostituendolo con un assegno ridotto nell’importo e forse anche discriminatorio. Alle famiglie composte anche da un disabile, oltre che da un minore o da un anziano, è destinato l’assegno di inclusione.
Ma di quali disabili parliamo? A leggere il decreto, infatti, sembra non siano tutti uguali. Riflette allarmata la dirigente sindacale: “Il decreto, differenziando tra disabili e disabili gravi, crea una disparità di trattamento che potrebbe presentare elementi di illegittimità". "Secondo noi – aggiunge - il termine 'grave' in riferimento alla disabilità andrebbe cassato per evitare disparità di trattamento, ad esempio tra 2 persone con disabilità, una con il 100% e l’altra con il 90%. Condizione quest’ultima che ovviamente rende molto difficile la ricerca di un lavoro, ma anche il normale vivere quotidiano”.
Non solo. Secondo alcune associazioni sarebbe pericoloso se verranno inclusi tra i redditi che concorrono all'Isee l’assegno di invalidità e l’indennità di frequenza per i minori. Fatto che potrebbe portare al superamento della soglia che dà diritto all’assegno di inclusione. Il rischio di una doppia beffa, insomma. Sottolinea, quindi, la responsabile disabilità della Cgil: “I requisiti per l’accesso all’assegno di inclusione, previsti dal decreto lavoro, determineranno l’esclusione di molte persone disabili. La povertà o la disabilità non sono una colpa, l’indifferenza sì, chiediamo che questi criteri vengano subito rivisti”.
La realtà è diversa dalle promesse
Le cronache, purtroppo, continuano a raccontare una società dove discriminazioni ed esclusione sono quasi quotidiane. Dalle gite scolastiche precluse ai ragazzi e alle ragazze disabili, al rifiuto – per alcuni di loro – dell'iscrizione in alcuni istituti della capitale. “Tocchiamo ogni giorno con mano la sfiducia e l’angoscia delle famiglie, una sfiducia - aggiunge la sindacalista - che viene alimentata anche da alcuni fatti, come, appunto, il rifiuto delle iscrizioni scolastiche di ragazzi con gravi disabilità in 15 licei romani, l’eliminazione di reddito per chi è povero, non lavora ed è anche invalido,. E domani chissà quale altra pena”.
Il futuro prossimo
In realtà, se si osservano gli interventi e i provvedimenti di questo governo verrebbe quasi da dire che un ministero non fa primavera. La legge sulla non-autosufficienza non viene finanziata e il decreto lavoro risulta insufficiente a voler essere generosi. “È urgente modificare il decreto, così come è urgente un tavolo con le parti sociali per rilanciare politiche serie di azioni concrete a favore delle persone con disabilità e delle loro famiglie, su scuola, lavoro, sanità e servizi di cura e accompagnamento, perché la fatica quotidiana è veramente immane e in piena solitudine”, conclude Daita.