PHOTO
Era il 1981 quando l’Onu istituì la Giornata per le persone con disabilità. Allora certo serviva, l’intenzione era quella di accendere i riflettori su quanti erano tenuti ai margini della società. Ma occorrerebbe che ogni giorno la politica si occupasse dei bisogni e dei desideri dei cittadini e delle cittadine con disabilità. Ne parliamo con Nina Daita, della Cgil nazionale.
Oggi è la giornata internazionale delle persone con disabilità, ha senso celebrarla?
Si celebra da molti anni, così come anche altre giornate dedicate a temi particolari. Quando è nata, secondo me, aveva un senso per richiamare l’attenzione su una questione non al centro dell’attenzione sociale e politica. Oggi le cose dovrebbero essere cambiate e invece non è così. Il problema è che è diventata una giornata solo celebrativa e non serve a cambiare le cose. Non è un caso che il coordinamento persone con disabilità della Cgil ha deciso di non fare convegni o iniziative particolari che rischiavano di diventare passerelle inutili, ma un comunicato di rivendicazione di quei diritti che dovrebbe essere tali e invece ancora non lo sono. Uguaglianza, lavoro, formazione. Altro che autocelebrazione, dovrebbe essere invece un momento di autocritica. La domanda che la politica dovrebbe porsi è “come stanno le persone con disabilità? Cosa facciamo per loro?”. Serve serietà e coerenza tra ciò che si promette e ciò che si fa.
Proviamo a farlo noi un ragionamento serio, partendo dal bilancio: che cosa è cambiato rispetto al 3 dicembre di un anno fa?
Non è cambiato proprio niente. Anzi, abbiamo perso anche 350 milioni di euro che potevano e dovevano essere spesi, ad esempio, per abbattere le barriere architettoniche, per l’accesso al lavoro, per l'assistenza domiciliare. Invece questi fondi sono stati sottratti alle persone con disabilità con la scusa della mancanza dei decreti attuativi della legge delega sulla non autosufficienza. Questo è grave visto che il governo è inadempiente sui decreti attuativi e in ogni caso quelle risorse potevano comunque essere destinate alle persone con disabilità, invece che dirottarle su altro. Credo che la cosa più grave accaduta in quest’anno è che non sia successo niente. Tranne, lo dico con rammarico e sincerità, almeno a giudicare dai riscontri che ho, che noi persone con disabilità ci sentiamo molto più sole perché non vediamo attorno a noi un'attenzione sincera sui nostri bisogni, ma solo molta propaganda e basta.
Continuiamo con i bilanci, è aumentato il numero delle persone con disabilità che non hanno un lavoro.
Nel 2018 erano 952 mila, adesso nel 2023 quante potranno essere? A mio modestissimo parere tante, e lo dicono anche le richieste che purtroppo arrivano anche nel nostro ufficio che ci domandano come possono fare per ottenere un lavoro. Certo rispetto a vent’anni fa le cose sono cambiate perché molti più ragazzi e ragazzi con disabilità hanno titoli di studio elevati e hanno desideri e aspettative coerenti con il loro percorso. Quello che non è cambiato invece, è il senso di delusione e amarezza per quelle aspettative senza risposte.
Che cosa rappresenta il lavoro per un ragazzo o una ragazza con disabilità?
Tutto, rappresenta tutto perché è la realizzazione di se stesso. E poi il lavoro dà quell'autonomia che permette di partecipare democraticamente a tutti i processi della società; si pagano le tasse, si è cittadino o cittadina come gli altri. Ma soprattutto il lavoro realizza. I ragazzi e le ragazze studiano per realizzarsi e quindi il lavoro dà l'emancipazione che è tutto nella vita. Non solo delle persone con disabilità, io penso sia così per ciascun uomo e ciascuna donna, cioè è importantissimo. Il lavoro è la dignità ed è anche un mezzo per diventare consapevoli delle proprie competenze, delle proprie capacità, serve a costruire autostima. E poi, anche per la società è meglio essere un lavoratore con disabilità occupato che essere una persona con disabilità disoccupata e assistita, che non partecipa al processo economico pur potendolo fare.
Eppure esiste un ministero per la Disabilità, anche se io penso sia un anacronismo perché le persone con disabilità non sono una parte, ma questa è una mia opinione. Sta di fatto che, nonostante il Ministero, passi avanti non ve ne sono. Allora quali le priorità che la Cgil pone alla ministra Alessandra Locatelli?
L'ho detto anche nell'ultima riunione dell'Osservatorio alla ministra, esiste un problema di emergenza sociale, le centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi con disabilità iscritti al collocamento obbligatorio. Esiste nel nostro Paese una legge che prevede l'obbligo di assumere persone con disabilità: è disattesa, naturalmente. E per di più la norma prevede multe considerevoli per le aziende che non assolvono a quest’obbligo. Ma nemmeno vengono fatte pagare, le multe. Questa la prima priorità. La ministra mi ha risposto, peraltro, che questo problema non è di sua competenza. Al di là di questa risposta, sono tante le cose che si dovrebbero fare, per esempio aumentare le risorse economiche ed umane per i servizi per l'impiego. Voglio dire, è chiaro: se tutti i servizi di inserimento lavorativo sono stati smantellati, chi si occupa di disoccupati con disabilità? Come nessuno si occupa della formazione per farli entrare nel mondo del lavoro. Non ci sono più le borse lavoro, i tirocini formativi, se tutto si riduce a puri laboratori di assistenza oppure al fai da te difficilmente si creerà lavoro. In realtà non se ne parla nemmeno, se non per lamentare la mancanza di risorse. Quei 350 milioni, che hanno dirottato su altro, potevano anche essere utilizzati per l’occupazione delle persone con disabilità, invece li abbiamo persi. È davvero miope questo modo di agire, se una persona portatrice di disabilità lavora ed è autosufficiente, è in grado di mantenersi quindi non ha bisogno dell'obolo e pubblico, e lo Stato risparmia.
Quali sono, invece, le priorità per la ministra?
La ministra fa molta propaganda, ma oltre agli annunci il nulla. Servirebbe coerenza tra il dire e l’agire.