Eccole le dieci cose che non dimenticheremo mai di quella settimana di ottobre del 2009 e degli anni che sono seguiti:

  1. Il 15 ottobre 2009 Stefano Cucchi, trentuno anni, viene fermato dai carabinieri Francesco Tedesco, Gabriele Aristodemo, Raffaele D’Alessandro, Alessio Di Bernardo e Gaetano Bazzicalupo dopo essere stato visto cedere a Emanuele Mancini delle confezioni trasparenti in cambio di una banconota.
  2. Già durante il processo per direttissima il ragazzo ha difficoltà a camminare e a parlare e mostra evidenti ematomi agli occhi.
  3. Nonostante le sue evidentemente precarie condizioni il giudice fissa l’udienza per il processo che si dovrà tenere un mese dopo e ne ordina sino a tale data una custodia cautelare presso il carcere di Regina Coeli.
  4. Dopo l’udienza le condizioni di Stefano peggiorano ulteriormente. Il 16 ottobre, alle ore 23, viene condotto al pronto soccorso dell’ospedale Fatebenefratelli, presso il quale vengono messe a referto lesioni ed ecchimosi alle gambe, al volto (con frattura della mandibola), all’addome con ematuria e al torace (con frattura della terza vertebra lombare e del coccige).
  5. Nei giorni successivi, per l’aggravarsi delle sue condizioni, il ragazzo viene trasferito al reparto detenuti dell’ospedale Sandro Pertini, dove muore all’alba del 22 ottobre.
  6. Al momento del decesso Stefano Cucchi pesa solamente 37 chilogrammi.
  7. Il sottosegretario di Stato Carlo Giovanardi dichiara che Stefano Cucchi è morto di anoressia e tossicodipendenza, asserendo altresì che il ragazzo fosse sieropositivo.
  8. “Rispetto la famiglia Cucchi ma il caso dimostra che la droga fa male”, sarà pochi mesi dopo il commento dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini
  9. Peccato che nove processi e tre inchieste dimostreranno invece che Stefano è morto per le percosse ricevute durante la detenzione e per mancata assistenza medica. 
  10. Nove processi e tre inchieste dimostreranno connivenze, depistaggi, falsificazioni di documenti da parte di medici e carabinieri. Dimostreranno l’esistenza di un sistema potente, ma non invincibile, sconfitto dalla determinazione di una piccola grande donna, Ilaria Cucchi.

In questo video per Collettiva.it Ilaria Cucchi ripercorre questi undici anni: la sofferenza, il dolore fino alla conquista della giustizia.

“Sono Ilaria Cucchi - dirà di sé - trentotto anni, madre di due figli, amministratrice di condomini. Vivo a Roma. Di Roma è tutta la mia famiglia: Giovanni sessantaquattro anni geometra, Rita sessantatré anni, maestra in pensione. Boy-scout e parrocchia sono sempre stati i miei impegni extra familiari ed il mio piccolo mondo nel quale sono cresciuta.  Non da sola... ma insieme a mio fratello Stefano, quello ‘famoso’, Stefano Cucchi, ‘famoso’ perché morto tra sofferenze disumane quando era in mano dello Stato e, soprattutto, per mano dello Stato. Sono alta un metro e sessanta centimetri, come Stefano, e peso 48 chili, come mio fratello Stefano. Non sono malata ma in ottima forma fisica e sono viva. Non mi hanno picchiato, non mi hanno pestato, non mi hanno rotto a calci la schiena, non ho avuto per questo bisogno di cure mediche. Non mi hanno torturato. Sono viva. Sono viva e combatto con una giustizia che non conoscevo, ostile, esosa, cieca, spietata, assassina. Ho una nuova famiglia che con me condivide un destino tragico, ma una determinazione incrollabile come incrollabile è la fiducia che abbiamo nel riuscire ad ottenere verità. La mia nuova famiglia è formata da Patrizia Moretti, Lucia Uva, Domenica Ferrulli. Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva, Michele Ferrulli sono i loro morti (...) La morte terribile di mio fratello non ha lasciato solo vuoto e dolore immenso, non ha lasciato solo la rabbia per l’ingiustizia subita, la ribellione alla irriguardosa mistificazione della verità, ma anche il calore ed il conforto di queste persone e quello di tante altre che ci aiutano e seguono affinché Stefano e gli altri non vengano seppelliti nell’oblio, senza dignità e senza giustizia”.

Perché, diceva sempre Ilaria, “parlarne vuol dire mettere in discussione l’intero sistema”. E non ci stancheremo mai di farlo. Di chiederci: chi è Stato? Di indignarci di fronte al fatto che qualcuno sia Stato.