Una campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi per i diritti delle bambine e dei bambini nella Giornata internazionale contro il lavoro minorile, è quella lanciata da Action Aid insieme a Giuseppe Bertuccio D’Angelo ideatore di Progetto Happiness, ricordando che nel mondo sono 160 milioni i bambini lavoratori. 

L’associazione umanitaria, in questa occasione, si concentra in modo particolare sul Bangladesh con un video dal titolo “Dal banco di scuola alla fabbrica: la dura realtà delle bambine lavoratrici in Bangladesh partendo dai dati del National Child Labour Survey 2022, secondo il quale nel Paese asiatico ci sono 1,7 milioni di bambini e bambine che lavorano e di questi oltre 1 milione sono impiegati in occupazioni pericolose, benché il Labour Act del 2006 proibisca l'impiego di bambini al di sotto dei quattordici anni e vieta le forme pericolose di lavoro per i minori di 18 anni.

Ma tanto non basta, perché la povertà costringe i bambini a entrare precocemente nel mercato del lavoro, una circostanza che danneggia il loro sviluppo fisico e mentale e che li priva della loro infanzia. Action Aid ricorda anche che in forme estreme, il lavoro minorile comporta schiavitù, traffico di esseri umani o servitù per debiti. Ad essere particolarmente a rischio sono le ragazze, già gravate dalla piaga del mancato accesso all'istruzione e dai matrimoni precoci o forzati.

Nel video pubblicato vengono raccolte le testimonianze di Jui, una dodicenne lavoratrice, e di una coetanea, Noor, che è stata invece sottratta al lavoro. "Quando ero a scuola ero molto felice – racconta Jui –. Avevo molti amici, parlavamo e giocavamo insieme. Ora non succede più e mi dispiace. Ho dovuto smettere di studiare perché mia madre ha molti debiti e non riusciva a mantenere la famiglia con solo 12.000 Taka (circa 90 euro) al mese. Per questo motivo mi ha chiesto di lavorare nella fabbrica di abbigliamento".

Dopo avere frequentato la scuola solamente fino alla fine della quinta elementare, Nuj oggi lavora con turni giornalieri di sei o sette ore in una delle tante fabbriche del tessile che proliferano a Dacca, come addetta al taglio dei fili. Con il suo lavoro guadagna circa il corrispettivo di poco più di 3 euro al giorno e nonostante ciò continua a sperare nel futuro: “Se potessi avere un desiderio- dice -, sarebbe diventare medico. Era il mio sogno quando andavo a scuola. Anche se il mio sogno non si è realizzato, lavoro per aiutare mia sorella a crescere e diventare lei un medico”.

Anche Noor ha dodici anni, ma lei ha potuto riprendere gli studi, dopo avere lavorato come domestica dall’età di quattro anni, vivendo con le zie materne che le facevano lavare i loro vestiti, la picchiavano e la lasciavano senza cibo se non puliva bene. “Successivamente - racconta nel video -, mi hanno mandata a lavorare in un’altra casa come domestica e ho smesso di studiare. Un giorno, mentre facevo questi lavori, mi sono scottata con dell'acqua calda e il proprietario della casa mi ha picchiata. Dopo questo incidente, mi hanno licenziata. Non portando soldi, le mie zie mi hanno cacciata di casa”.

La madre le ha trovato un lavoro in una fabbrica di bambole sino a quando una parente non l’ha portata nella Happy Home, dove frequenta la scuola: “Se non fossi venuta qui, avrei probabilmente dovuto lavorare anche io in una fabbrica per sempre, visto che non avevo completato gli studi”.

Le Happy Home sono le “case felici” alle quali ha dato vita Action Aid con il suo impegno in Bangladesh, dove si è particolarmente concentrata sulle bambine, costituendo spazi sicuri per le giovani e giovanissime in situazioni di estrema fragilità.

“Ci sono così tanti bambini che non hanno l’opportunità di andare a scuola e nemmeno di giocare – afferma afferma Sanjida Afrin di ActionAid Bangladesh -. Qui nelle Happy Home di ActionAid proviamo a dare uno spazio sicuro a tutte loro. È inaccettabile che i bambini lavorino in queste condizioni, come se fossero delle macchine, solo per poter avere un po’ di soldi per comprare del cibo. È nostra responsabilità impegnarci per garantire loro una vita diversa”.