In Italia ci sono 350 centri antiviolenza e 366 case rifugio, dove 19.600 donne vittime di violenza hanno trovato supporto. Se i dati Istat sono precisi e aggiornati per la violenza sulle donne, nulla o quasi sappiamo sulle vittime di omotransfobia, soprattutto su quali strutture diano assistenza.

Questo perché in Italia manca una legge contro l’omofobia. Ricordiamo le reazioni scomposte che hanno impedito l’approvazione del ddl Zan. Oltre a introdurre il reato penale, le discriminazioni basate sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità, la legge avrebbe riconosciuto il sostegno economico ai centri antiviolenza arcobaleno che adesso sperano di poter contare soltanto sul sostegno dei fondi dell’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali a difesa delle differenze (Unar) che però sono fermi. 

In Italia, dunque, manca tutto questo. Mancano i dati per affrontare il fenomeno, soprattutto non ci sono strutture sufficienti per supportare le vittime di omolesbobitransfobia. I centri sono pochi, in attività da pochissimi anni e organizzati tutti su base volontaria.

Le case arcobaleno

La prima esperienza italiana è quella di Roma, dove la Croce rossa e il Gay center nel 2016 aprono il primo rifugio Lgbt. A Torino nel 2018 nasce TO Housing (promosso dall’associazione Quore), segue Milano dove, nel 2019, il Comune apre una casa arcobaleno. Nel 2021 è la volta di Napoli, con l’iniziativa del Comune e del circolo Arcigay. Nel 2022, infine, arrivano i rifugi arcobaleno di Bergamo, del Friuli (Villa Carrà), di Padova e Reggio Emilia (Casa Tondelli), aperte sempre dai comitati locali di Arcigay.

Sono in fase di lavorazione anche Casa Marcella a Pisa, la prima casa rifugio per le persone trans* e non binarie della Toscana; Pink House a Gualdo Tadino, in Umbria, e il centro Lgbt del Mediterraneo a Caserta realizzato, recuperando un bene confiscato dalla mafia. 

L'intervista

“Una Casa arcobaleno è una casa protetta, esattamente come quelle istituite e finanziate per la violenza contro le donne”, dice Alessandro Battaglia, che a Torino coordina la più grande casa arcobaleno d’Italia, con 24 posti letto in cinque appartamenti. “È un luogo – prosegue – dove una persona si può rifugiare per un periodo per iniziare a costruire una nuova vita. Nel caso di una casa arcobaleno, ci si occupa della comunità Lgbtiq+”.

Quali tipologie di casa ci sono?
Ne esistono diversi tipi, con approcci diversi. Alcune mettono a disposizione solo l’ospitalità d’emergenza, mentre altre, oltre al tetto, dispongono di una cucina, un supporto psicologico, servizi sanitarie e di avviamento al lavoro.

Quante richieste di aiuto ricevete?
Fin dall’inizio, addirittura prima dell’inaugurazione, il progetto TO Housing ha ricevuto richieste di aiuto. Abbiamo fatto la conferenza stampa nel dicembre 2018, il 6 gennaio 2019 avevamo già i primi ospiti. Abbiamo capito subito che c’era davvero bisogno di questo servizio. In quattro anni di attività abbiamo aiutato 80 persone, dovendo rifiutare il supporto ad altre 150. Con rammarico: se avessimo avuto maggiori spazi e risorse avremo potuto aiutare tutti.

Chi sono gli ospiti?
Lo spettro di richieste è davvero variegato. Molte strutture si fermano a 26 anni per l’accoglienza, noi invece ospitiamo tutte le fasce d’età. Ci sono ragazzi e ragazze rifiutati dalla famiglia dopo il coming out. Ci sono persone transessuali che si trovano in difficoltà non solo per il rifiuto della famiglia, ma per l’accesso alla salute, visto che non in tutte le regioni in Italia è possibile accedere alle terapie ormonali e non tutti possono permettersele. Ci sono poi migranti, spesso catapultati in strutture di accoglienza dove la questione lgbti non viene considerata, e toccano nuovamente con mano le ingiustizie perché la loro comunità di riferimento riproduce le medesime dinamiche discriminatorie del Paese di origine. 

Oggi, in Italia, quanti posti letto ci sono per aiutare le vittime di omotransfobia?
Per i numeri a mia conoscenza, siamo sotto i 70 posti letto. La maggior parte delle strutture Nord Italia, l’unica struttura del Mezzogiorno è a Napoli ed è gestita da Arcigay. Nel 2023 vogliamo convocare a Torino il primo momento di confronto nazionale di tutte le Case arcobaleno, per capire le potenzialità di ogni struttura e fare rete. Ancora non esiste un coordinamento, dobbiamo impegnarci e crearlo.

Quanto tempo serve per rimettere in piedi una persona?
Abbiamo due protocolli. Il primo è di accoglienza riguardo all’emergenza abitativa, e dura 15 giorni. In quel tempo vediamo se è possibile far rientrare la persona nel proprio nucleo famigliare o se bisogna iniziare un nuovo percorso di vita. Il meccanismo è quello dell’amico che ti offre il suo divano quando le cose stanno male.

E il secondo protocollo?
Nel secondo il tempo a disposizione è circa un anno e attiviamo tutti i servizi per portare la persona a una nuova autonomia. Abbiamo un servizio psicologico composto di quattro psicologhe e uno psichiatra, abbiamo un educatore e un assistente sociale che si occupa di tutte le pratiche, a partire dalla residenza temporanea. Grazie al Banco Alimentare e a un grande supermercato della città forniamo due volte alla settimana la spesa agli ospiti. Completano la squadra una mediatrice culturale, due operatori e un esperto di politiche attive del lavoro che aiuta le persone a trovare una collocazione professionale o a completare il percorso di studi. L’intera struttura è sostenuta dagli attivissimi volontari dell’associazione.

Tutti questi servizi sono gratuiti?
Sì, gli utenti non pagano, tutto è a carico dell’associazione. Agli ospiti chiediamo solo di essere attivi e di supporto al progetto che li riguarda. Chiediamo ai nostri ospiti di impegnarsi per il quartiere: ogni settimana, ad esempio, aiutiamo oltre 40 famiglie con il cibo che ci avanza, mentre in primavera e in estate, in collaborazione con l’Uisp, facciamo progetti con cadenza bisettimanale di sport con i bambini. Stiamo lavorando molto sul concetto di comunità che, per noi, si intende come allargata e aperta.

Come sostenete il progetto?
Abbiamo attivato molte collaborazioni con aziende, fondazioni bancarie, donazioni di privati. Ad esempio, abbiamo lanciato una campagna che invitava le coppie unite civilmente a sostenere il progetto donando una parte della lista di nozze: è stato un successo. Con le donazioni private copriamo quasi il 40% dei fabbisogni, solo il 60% arriva da supporti pubblici. Questo però è solo per il bilancio 2022, perché abbiamo vinto un grande bando dell’Unar; gli anni passati gli appartamenti si sostenevano principalmente con il supporto privato.

Dall’Unar, che è emanazione diretta del governo, arrivano molti dei sostegni per i progetti contro l'omotransfobia e le case arcobaleno. Avete notato un cambio di passo con l'arrivo del Governo Meloni?
A oggi abbiamo avuto conferme che non ci saranno modifiche ai bandi di sostegno per le case arcobaleno. Ma è anche vero che non è ancora uscito il nuovo bando per il sostegno all’attività delle case. Siamo in attesa.