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Il 22 maggio del 1978 la legge 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza) viene pubblicata sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana, divenendo a tutti gli effetti legge dello Stato. Capitolo conclusivo di una lunga battaglia iniziata qualche anno prima dal Partito radicale, la legge (confermata da un referendum nel 1981) rende legale l’aborto attraverso l’abrogazione delle norme del titolo X del Libro II del codice penale (gli articoli 545-555 configuravano l’interruzione volontaria di gravidanza come “delitto contro l’integrità della stirpe” punibile con la reclusione, a seconda delle fattispecie di reato, fino anche a 12 anni).
Già nel 1971 la Corte costituzionale aveva dichiarato illegittimo l’articolo 553 del Codice penale, che prevedeva come reato la propaganda degli anticoncezionali. Sempre nel 1971 veniva presentato il primo progetto di legge in materia (n. 1762) firmato dai senatori socialisti Banfi, Caleffi, Fenoaltea: la proposta - così come quella presentata nell’ottobre dello stesso anno - non sarà nemmeno discussa. L’11 febbraio di tre anni più tardi, Loris Fortuna (il deputato socialista che aveva dato il suo nome alla legge sul divorzio approvata nel 1970 dal Parlamento e confermata dal referendum del 12 maggio 1974) presenterà un nuovo progetto di legge sulla depenalizzazione e legalizzazione dell’aborto sul quale convergeranno il Partito radicale e il Movimento di liberazione della donna.
Il 18 febbraio del 1975 la Corte costituzionale dichiarerà parzialmente illegittimo l’articolo 546 del codice penale, riconoscendo la legittimità dell’aborto terapeutico, e il 29 aprile del 1975 il Parlamento approverà la legge 405 per l’istituzione dei consultori familiari. Tra febbraio e aprile 1975 vengono presentate sei proposte di legge sulla materia. Intanto si cominciano a raccogliere le firme per un referendum abrogativo delle norme del codice penale che vietano l’aborto (l’8 novembre 1975 la Cassazione dichiara valido il numero di firme per il referendum) e inizia la discussione sul testo di legge unificato.
Il 22 maggio 1978 la legge 194 viene pubblicata sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana, divenendo a tutti gli effetti legge dello Stato. Dopo il prologo, “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non é mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite”.
I punti principali della legge delineano tra l’altro l’istituzione dei consultori familiari, il termine di novanta giorni entro cui ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza, l’obiezione di coscienza, le pene non più punitive, ma a tutela della donna (è prevista la reclusione da tre mesi a due anni per chi cagiona a una donna per colpa l’interruzione della gravidanza; reclusione da quattro a otto anni per chi cagioni l’interruzione della gravidanza senza il consenso della donna). L’interruzione di gravidanza viene dichiarata possibile per motivi personali, motivi di salute della donna o del nascituro, circostanze del concepimento. E’ possibile abortire entro i primi 90 giorni di gestazione nelle strutture ospedaliere e a spese dello Stato. Si può abortire entro i primi cinque mesi nel caso in cui la gravidanza comporti rischi per la madre o per il bambino.
I numeri che seguono sono estratti dalla Relazione del ministro della Salute sull’attuazione della Legge 194/78 per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza e sono stati ufficialmente trasmessi al Parlamento il 29 dicembre 2017. Si tratta dei dati più recenti pubblicamente disponibili sul tema dell’interruzione volontaria di gravidanza relativi all’anno 2016. Nel 2016 sono stati registrate in Italia 84.926 interruzioni di gravidanza, il 3,1 percento in meno rispetto all’anno precedente (quando si era registrato invece il calo più consistente del -9,3 percento). I dati Istat indicano che ciò avviene soprattutto nella fascia di età tra i 30 e i 34 anni (18.188), seguita da quella tra i 35 e i 39 anni (17.724) e, solo successivamente, interessa ragazze più giovani tra i 25 e i 29 anni (17.314).
Nel 54 percento casi si tratta di persone nubili, mentre le donne sposate rappresentano il 38 percento e solo il 6,2 percento è costituito da separate o vedove. Il 91,4 percento degli aborti viene effettuato nella regione di residenza, e l’86,5 percento nella provincia di residenza. Per quanto riguarda le donne italiane, il 46 percento di quelle che hanno abortito nel 2016 era in possesso di licenza media superiore, il 47 percento risultava occupata, il 57,8 percento risultava nubile e il 44 percento non aveva figli. Il 46 percento delle donne straniere che hanno effettuato un aborto nel 2016, invece, era in possesso di licenza media inferiore e il 39,2 percento risultava occupata.
Un dato preoccupante è quello relativo agli obiettori di coscienza. Ci sono regioni e città italiane dove è quasi impossibile abortire. Dal 2005 al 2016, la quota dei medici obiettori di coscienza è aumentata del 12 percento. Nel 2016 in Molise risulta essere obiettore il 93,3 percento dei ginecologi, il 92,9 percento nella provincia autonoma di Bolzano, il 90,2 percento in Basilicata, l’87,6 percento in Sicilia, l’86,1 percento in Puglia, l’81,8 percento in Campania, l’80,7 percento nel Lazio e in Abruzzo. Minore, ma sempre alta, la percentuale di anestesisti obiettori che, in media, è pari al 49,3 percento. Anche in questo caso i valori più elevati si osservano al Sud, con in testa la Sicilia col 79,2 percento seguita da Calabria, Molise e Lazio. Il personale medico obiettore raggiunge valori intorno al 46,6 percento con un massimo di 89,9 percento in Molise e 85,2 percento in Sicilia.
E la situazione non è certo migliorata con il coronavirus. Siamo fortunatamente ancora distanti dall’Ohio o dal Texas dove l’aborto è diventato ufficialmente “non essenziale” e quindi vietato (fino al 21 aprile scorso qualsiasi operatore medico avesse praticato aborti sarebbe stato passibile di sanzioni sotto forma di multe fino a mille dollari o 180 giorni di carcere). Ma “non dimenticate mai che sarà sufficiente una crisi politica, economica o religiosa perché i diritti delle donne siano rimessi in discussione. Questi diritti non sono mai acquisiti. Dovete restare vigili durante il corso della vostra vita”.
Probabilmente mai come oggi la 194 risulta essere sotto attacco e le donne, ancora una volta, pagano il conto di una storia che tristemente si ripete. Scriveva nel 1975 Italo Calvino in risposta ad un articolo di Claudio Magris apparso sul Corriere della Sera: “Caro Magris, con grande dispiacere leggo il tuo articolo Gli sbagliati. Sono molto addolorato non solo che tu l’abbia scritto, ma soprattutto che tu pensi in questo modo. Mettere al mondo un figlio ha un senso solo se questo figlio è voluto, coscientemente e liberamente dai due genitori. Se no è un atto animalesco e criminoso. Un essere umano diventa tale non per il casuale verificarsi di certe condizioni biologiche, ma per un atto di volontà e d’amore da parte degli altri. Se no, l’umanità diventa - come in larga parte già è - una stalla di conigli. Ma non si tratta più della stalla 'agreste', ma d’un allevamento 'in batteria' nelle condizioni d’artificialità in cui vive a luce artificiale e con mangime chimico. Solo chi - uomo e donna - è convinto al cento per cento d’avere la possibilità morale e materiale non solo d’allevare un figlio ma d’accoglierlo come una presenza benvenuta e amata, ha il diritto di procreare; se no, deve per prima cosa far tutto il possibile per non concepire e se concepisce (dato che il margine d’imprevedibilità continua a essere alto) abortire non è soltanto una triste necessità, ma una decisione altamente morale da prendere in piena libertà di coscienza. Non capisco come tu possa associare l’aborto a un’idea d’edonismo o di vita allegra".
Per Italo Calvino l’aborto "è una cosa spaventosa. Nell’aborto chi viene massacrato, fisicamente e moralmente, è la donna; anche per un uomo cosciente ogni aborto è una prova morale che lascia il segno, ma certo qui la sorte della donna è in tali sproporzionate condizioni di disfavore in confronto a quella dell’uomo, che ogni uomo prima di parlare di queste cose deve mordersi la lingua tre volte. Nel momento in cui si cerca di rendere meno barbara una situazione che per la donna è veramente spaventosa, un intellettuale impiega la sua autorità perché la donna sia mantenuta in questo inferno. Sei un bell’incosciente, a dir poco, lascia che te lo dica. Non riderei tanto delle misure igienico-profilattiche; certo, a te un raschiamento all’utero non te lo faranno mai. Ma vorrei vederti se t’obbligassero a essere operato nella sporcizia e senza poter ricorrere agli ospedali, pena la galera. Il tuo vitalismo dell’integrità del vivere è per lo meno fatuo. Che queste cose le dica Pasolini, non mi meraviglia. Di te credevo che sapessi che cosa costa e che responsabilità è il far vivere delle altre vite. Mi dispiace che una divergenza così radicale su questioni morali fondamentali venga a interrompere la nostra amicizia”.
Parole tristemente attuali, anche oggi, soprattutto oggi. Ma oggi come ieri sui nostri diritti siamo disposte a fare un passo indietro solo per prendere la rincorsa. Tutte insieme, ora, perché se non ora, quando?