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Il Decreto per la difesa della razza italiana, datato 17 novembre 1938, stabilisce il divieto di matrimoni misti tra cittadini italiani di razza ariana con persone appartenenti ad altra razza, sancendo per le persone di "razza ebraica" il divieto di prestare servizio militare o lavorare come domestici presso famiglie non ebree, possedere aziende con più di 100 dipendenti, essere proprietari di terreni o immobili oltre un certo valore, essere dipendenti di amministrazioni, enti o istituti pubblici, banche di interesse nazionale o imprese private di assicurazione.
Agli effetti di legge è considerato "di razza ebraica" colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se appartenga a religione diversa da quella ebraica; è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori di cui uno di razza ebraica e l’altro di nazionalità straniera; è considerato da razza ebraica colui che è nato da madre di razza ebraica qualora sia ignoto il padre; è considerato di razza ebraica colui che, pur essendo nato da genitori di nazionalità italiana, di cui uno solo di razza ebraica, appartenga alla religione ebraica, o sia comunque iscritto ad una comunità israelitica, ovvero abbia fatto in qualsiasi altro modo, manifestazioni di ebraismo. Non è considerato di razza ebraica colui che, nato da genitori di nazionalità italiana di cui uno solo di razza ebraica, alla data del 1º ottobre 1938 – XVI dell’era fascista, apparteneva a religione diversa da quella ebraica.
L’appartenenza alla razza ebraica deve essere denunciata e annotata nei registri dello stato civile e della popolazione. Tutti gli estratti dei predetti registri ed i certificati relativi, che riguardano appartenenti alla razza ebraica, devono fare espressa menzione di detta annotazione. Uguale menzione deve farsi negli atti relativi a concessioni e autorizzazioni della pubblica autorità.
I cittadini italiani di razza ebraica non possono prestare servizio militare in pace e in guerra; esercitare l’ufficio di tutore o curatore di minori o di incapaci non appartenenti alla razza ebraica; essere proprietari o gestori, a qualsiasi titolo, di aziende dichiarate interessanti la difesa della Nazione e di aziende di qualunque natura che impieghino cento o più persone, né avere di dette aziende la direzione né assumervi, comunque, l’ufficio di amministratore o di sindaco. Non possono essere proprietari di terreni che in complesso abbiano un estimo superiore a lire cinquemila o essere proprietari di fabbricati urbani che, in complesso, abbiano un imponibile superiore a lire ventimila.
Il genitore di razza ebraica può essere privato della patria potestà sui figli che appartengono a religione diversa da quella ebraica, qualora risulti che egli impartisca ad essi una educazione non corrispondente ai loro principi religiosi o ai fini nazionali. Gli appartenenti alla razza ebraica non possono avere alle proprie dipendenze, in qualità di domestici, cittadini italiani di razza ariana.
Non possono avere alle proprie dipendenze persone appartenenti alla razza ebraica le amministrazioni civili e militari dello Stato; il Partito nazionale fascista e le organizzazioni che ne dipendono o che ne sono controllate; le amministrazioni delle province, dei comuni, delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza; le amministrazioni degli enti parastatali, comunque costituiti o denominati, delle opere nazionali, delle associazioni sindacali ed enti collaterali e, in genere, di tutti gli enti ed istituti di diritto pubblico, anche con ordinamento autonomo, sottoposti a vigilanza o a tutela dello Stato, o al cui mantenimento lo Stato concorra con contributi di carattere continuativo; le amministrazioni delle banche di interesse nazionale e le amministrazioni delle imprese private di assicurazione.
Alla firma di Vittorio Emanuele, seguono quelle di Mussolini dei ministri Galeazzo Ciano, Paolo Thaon di Revel, Ferruccio Lantini, del guardasigilli Arrigo Solmi. Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario. “Non fu tanto la cattiveria, la crudeltà, l’antisemitismo o tutto il peggio che vogliamo dire che portarono ad Auschwitz - diceva qualche anno fa la senatrice a vita Liliana Segre - Fu l’indifferenza, quel voltare la faccia dall’altra parte, quel dire: “basta con questi ebrei, ma cosa ce ne importa, non succede a noi” (…) L’indifferenza racchiude la chiave per comprendere la ragione del male, perché quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c'è limite all’orrore. L’indifferente è complice. Complice dei misfatti peggiori”.