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Le ‘leggi razziali’ del 1938 sono senza ombra di dubbio uno dei capitoli più dolorosi della storia del ventennio fascista.
Al Regio decreto legge del 5 settembre 1938 che fissava Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista e a quello del 7 settembre che fissava Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri fa seguito, il 6 ottobre una Dichiarazione sulla razza emessa dal Gran consiglio del fascismo. Tale dichiarazione sarà successivamente adottata dallo Stato sempre con un Regio decreto legge che porta la data del 17 novembre dello stesso anno.
Recita nello specifico il Regio Decreto Legge 5 settembre 1938-XVI, n. 1390:
Art. 1
All’ufficio di insegnante nelle scuole statali o parastatali di qualsiasi ordine e grado e nelle scuole non governative, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere ammesse persone di razza ebraica, anche se siano state comprese in graduatorie di concorso anteriormente al presente decreto; né potranno essere ammesse all’assistentato universitario, né al conseguimento dell’abilitazione alla libera docenza.Art. 2
Alle scuole di qualsiasi ordine e grado, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere iscritti alunni di razza ebraica.Art. 3
A datare dal 16 ottobre 1938-XVI tutti gli insegnanti di razza ebraica che appartengano ai ruoli per le scuole di cui al precedente art. 1, saranno sospesi dal servizio; sono a tal fine equiparati al personale insegnante i presidi e direttori delle scuole anzidette, gli aiuti e assistenti universitari, il personale di vigilanza nelle scuole elementari. Analogamente i liberi docenti di razza ebraica saranno sospesi dall’esercizio della libera docenza.Art. 4
I membri di razza ebraica delle Accademie, degli Istituti e delle Associazioni di scienze, lettere ed arti, cesseranno di far parte delle dette istituzioni a datare dal 16 ottobre 1938-XVI.Art. 5
In deroga al precedente art. 2 potranno in via transitoria essere ammessi a proseguire gli studi universitari studenti di razza ebraica, già iscritti a istituti di istruzione superiore nei passati anni accademici.Art. 6
Agli effetti del presente decreto-legge è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se egli professi religione diversa da quella ebraica.Art. 7
Il presente decreto-legge, che entrerà in vigore alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del Regno, sarà presentato al Parlamento per la sua conversione in legge. Il Ministro per l’educazione nazionale è autorizzato a presentare il relativo disegno di legge. Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Ricordava in una bella intervista la senatrice a vita Liliana Segre:
Era un giorno di fine estate del 1938. Io ero a tavola con il mio papà e i miei nonni paterni, che poi finirono tutti ad Auschwitz. Ricordo le loro facce. Serie. Tirate. Preoccupate. Mai visti così. ‘Liliana, ti dobbiamo dire una cosa’, mi disse papà. Eravamo a Premeno, alto Lago Maggiore, sopra Verbania. Io avevo 8 anni. Avevo avuto un’estate normale. Mio papà, molto attento alla nostra salute, ci portava ogni anno al mare, a Celle Ligure; poi in montagna, e ogni anno gli piaceva cambiare posto: Macugnaga, San Martino di Castrozza, Bormio… A fine estate, concludevamo le vacanze al lago, a Premeno, luogo per me noiosissimo, in attesa che iniziasse la scuola, che allora apriva il 12 ottobre, giorno della scoperta dell’America da parte – ci insegnava la maestra – dell’italiano Cristoforo Colombo. Era stata per me – bambina che non veniva informata di quello che succedeva nella politica, degli annunci e delle tensioni che agitavano da mesi l’Italia – un’estate normale di una normale famiglia italiana, borghese e agiata. Ma quel giorno le facce di mio padre e dei miei nonni non erano normali, erano diverse dal solito. ‘Ti dobbiamo dire una cosa’, ripetè papà. ‘Non potrai tornare a scuola, a ottobre. Sei stata espulsa’. Io non capivo. Sapevo che ‘espulsa’ era una parola pesante. Per essere ‘espulsi’ bisognava aver fatto qualcosa di grave. Di molto grave. Chiesi a mio padre che cosa avevo fatto, che cosa era successo. Mi rispose che c’erano delle nuove leggi, che le cose erano cambiate, che noi eravamo ebrei e che dunque non sarei potuta tornare alla mia scuola, la Ruffini di Milano, dove avrei dovuto iniziare la terza elementare. Non sarei più stata in classe con le mie compagne e con la mia maestra Bertani. Quel giorno scoprii di essere ebrea.
Quel giorno tanti bambini e ragazzi capirono che la loro vita sarebbe cambiata per sempre. La politica antiebraica italiana provocherà tra emigrazione, fughe, uccisioni, deportazioni, un calo della popolazione ebraica del 48%. Se si considera solamente il tasso dei morti tra l'inizio del regime della Rsi e dell'occupazione tedesca e la fine della guerra, settembre 1943- aprile 1945, la perdita rappresenta il 22,5%.
Citando Primo Levi “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare” e “le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre”.
“Può accadere - scriveva ne I sommersi e i salvati - e dappertutto. Non intendo né posso dire che avverrà; (...) è poco probabile che si verifichino di nuovo, simultaneamente, tutti i fattori che hanno scatenato la follia nazista, ma si profilano alcuni segni precursori. La violenza, ‘utile’ o ‘inutile’, è sotto i nostri occhi: serpeggia, in episodi saltuari e privati, o come illegalità di stato (...) Attende solo il nuovo istrione (non mancano i candidati) che la organizzi, la legalizzi, la dichiari necessaria e dovuta e infetti il mondo. Pochi paesi possono essere garantiti immuni da una futura marea di violenza, generata da intolleranza, da libidine di potere, da ragioni economiche, da fanatismo religioso o politico, da attriti razziali. Occorre quindi affinare i nostri sensi, diffidare dai profeti, dagli incantatori, da quelli che dicono e scrivono ‘belle parole’ non sostenute da buone ragioni”. Anche oggi, forse soprattutto oggi.