PHOTO
Un cammino durato quasi 70 anni quello percorso dai militari per vedersi riconosciuti i diritti sindacali sanciti dalla nostra Costituzione per tutti i lavoratori e le lavoratrici. La Corte costituzionale ha sentenziato, il Parlamento fatica a tradurre in legge quella sentenza. Ne parliamo con Luciano Silvestri, responsabile legalità e sicurezza della Cgil.
Nel 1970 l’approvazione dello Statuto dei lavoratori venne salutato con una affermazione importante: “Finalmente la Costituzione entra nei luoghi di lavoro”. È corretto sostenere che con la sentenza n. 120 del 2018, quella che sostiene illegittimo il divieto della libertà sindacale nelle forze armate, la Costituzione entra nelle caserme?
La sentenza a questo proposito è molto chiara: a conclusione del dibattimento afferma l'illegittimità costituzionale dell'art. 1475, comma 2, del D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento militare), in quanto prevedeva che "i militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali". La stessa sentenza indicava di prevedere che "i militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge; non possono aderire ad altre associazioni sindacali". Insomma si potrebbe aprire davvero e finalmente una pagina nuova, se la politica comprendesse prima di tutto che per 70 anni in Italia la Costituzione è stata di fatto tradita e operasse un'azione riformatrice tale da recuperare quel processo mancato di modernizzazione delle strutture militari in termini di inefficienze, di malessere lavorativo e di “separatezza” dalla società civile. È un fatto innegabile che negli attuali regolamenti militari sono contenute regole anacronistiche, scritte nel periodo fascista e perfino nel periodo prefascista.
Quasi 500mila uomini e donne che possono liberamente associarsi in sindacato. Quale è la tua opinione?
A queste persone e alle loro famiglie finora è stato impedito di poter accedere liberamente a servizi universali che normalmente i patronati, i Caf e gli uffici vertenze offrono ai lavoratori. Penso ad esempio che la Cgil, dopo aver sostenuto fattivamente il ricorso che ha portato alla storica sentenza della Corte, debba ora operare per mettere questo suo patrimonio a disposizione dei nascenti sindacati dei militari. Lo ritengo il punto di partenza minimo attraverso il quale consolidare il legame che storicamente abbiamo saputo costruire con le varie associazioni militari che insieme a noi hanno condotto questa battaglia di civiltà, per proiettarlo ancora più avanti. La riunificazione del mondo del lavoro non è solo una nostra aspirazione, ma è prima di tutto una esigenza costituzionale e democratica. Mi auguro che alla prossima conferenza di organizzazione della Cgil ci si arrivi portando al riguardo un quadro di legami territoriali già radicato fra i servizi della Confederazione e i nascenti sindacati dei militari.
Sempre la sentenza. 120 del 2018 parla di sindacati professionali ai quali, però, viene fatto divieto di avere rapporti organici con i sindacati generali. Qual è il tuo parere a riguardo?
Penso che questa affermazione sia una chiara forzatura da parte di chi vuole una riforma di tipo corporativo. La sentenza infatti vieta ai militari di aderire ad altri sindacati, ma non vieta agli stessi sindacati militari di avere relazioni con altri. Dice che queste relazioni non possono essere organiche, ma non vieta che possano esistere rapporti e contatti. In ogni caso penso che una rottura con le abitudini e la cultura istituzionale che in 70 anni si sono consolidate richiedano, insieme alla giusta determinazione nel sostenere un processo riformatore coerente con la sentenza della Corte, una buona dosa di accortezza e di pazienza. Come dire “facciamo un passo alla volta”.
Della sentenza abbiamo detto, come si sa per rendere esigibile quel diritto sancito dalla Corte occorre una legge. Il Parlamento sta esaminando un testo. Ora, dopo il varo del Senato è all’attenzione della Camera. È condivisibile? Quali le criticità?
Dico subito che la sentenza, invece di innescare nella politica il desiderio di recuperare il tempo perduto e di farsi perdonare la lunga negazione di un diritto costituzionale per una intera categoria di lavoratori, ha evidenziato al contrario la tenace ostilità al rinnovamento del mondo militare. L'opposizione alla democratizzazione, dunque, ha le sue vere radici nella volontà di difendere privilegi e interessi clientelari di vario tipo. La proposta di legge, ad esempio, indica che di fronte a qualsiasi contenzioso sindacale si debba ricorrere al Tar e non, come è normale che sia, al giudice del lavoro. Poi, aspetto davvero inquietante, le materie affidate alla contrattazione fra le amministrazioni e i sindacati militari escludono gli aspetti ordinari della vita lavorativa in tempo di pace, rendendo di fatto inesistente l'esercizio dell’attività sindacale. Tutto ciò va poi messo in relazione con la quotidianità di un atteggiamento da parte delle varie amministrazioni, compreso il ministero della Difesa, che esclude dalle convocazioni i nascenti sindacati. Gli stessi che nel frattempo hanno avuto il riconoscimento formale da parte dello stesso ministro, il quale continua a convocare i vecchi Cocer. Addirittura il ministero non ha convocato i sindacati per una discussione sul contratto quando la stessa sentenza della Corte dice esplicitamente che i sindacati sono immediatamente riconosciuti e operativi. Siamo di fronte ad una volontà politica che in maniera esplicita agisce per impedire l'applicazione della sentenza. Fanno dunque bene i sindacati militari ad impugnare davanti al giudice la mancata convocazione e noi, nel limite del possibile, li sosterremo.