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Sono storica dell’arte per scelta, formazione e professione: faccio la guida museale. Lavoro presso una cooperativa che ha vinto l’appalto per la gestione di vari servizi gestiti dalla Fondazione Musei Civici di Venezia.
In che cosa consiste il mio lavoro? Nel far rivivere e conoscere il passato glorioso di Venezia, dalle origini fino a quasi i nostri giorni, attraverso la scoperta dei luoghi preposti alla conservazione e al racconto della sua storia, della sua arte, dei suoi protagonisti, dei suoi profumi, della sua civiltà: i musei.
In particolare i Musei Civici di Venezia sono la parte più cospicua dell’offerta museale veneziana e forniscono al visitatore la possibilità di ricostruire completamente un passato di storia lungo più di mille anni, dai luoghi del potere di Palazzo Ducale al museo della civiltà veneziana (Museo Correr), immergendosi nei fasti settecenteschi di Ca’ Rezzonico con la visita della casa del suo più grande autore teatrale, Carlo Goldoni. E poi l’arte del merletto, del vetro, del profumo e del costume, fino alle produzioni ottocentesche e novecentesche di Ca’ Pesaro, Palazzo Fortuny e il Museo di Storia Naturale. Il mio compito non è solo quello di fornire spiegazioni, ma anche quello di educare, dando ad esse un taglio più didattico. Un servizio che viene offerto regolarmente è quello che permette al turista di scoprire dei luoghi solitamente nascosti ai più, come gli Itinerari Segreti.
Fatta questa lunga premessa, si potrà già ben capire che cosa può aver significato per tutti i lavoratori il 24 febbraio scorso, data in cui nel Veneto è scattato il lockdown, la fine delle visite e del lavoro per un tempo indeterminato. La prima reazione è stata lo shock del ritrovarsi a casa dopo giornate frenetiche, cui è seguito lo sconforto e la preoccupazione di come far fronte a mutui e affitti da pagare, alla sopravvivenza quotidiana, con una cooperativa che non aveva la possibilità di anticipare la cig e i pagamenti Inps che tardavano.
A fare da contraltare a questa sensazione di sospensione c’era lei, Venezia, bella come non l’avevo mai vista: l’acqua dei suoi canali pulita, la fauna lagunare purificata, la città finalmente vuota dei tanti turisti ammassati nelle sue calli, sui gradini delle sue chiese, nei suoi campi. Vuota e inquietante al contempo, con le serrande chiuse di negozi e locali.
Il 18 maggio finalmente l’annuncio tanto atteso: si riaprono i musei! Sì, gli altri. I Musei Civici no. Troppe le misure di sicurezza e protezione da mettere in atto, troppi i costi per una istituzione privata, a fronte di un turismo ancora inesistente, troppo pochi gli aiuti da Stato e Comune per permettere a una Fondazione di fare ciò per cui è nata: offrire cultura. Alle precedenti sensazioni, a questo punto, se n’è aggiunta un’altra, quella dell’attesa.
A luglio si decide di provare a riaprire solo tre musei su undici, ma solo il week end e con orari ridotti al minimo e su prenotazione. Neppure il 10% dei lavoratori viene impiegato. Eppure i turisti cominciano a tornare a Venezia, non solo italiani, e chiedono servizi, audioguide, visite guidate ai Segreti e alla Torre dell’Orologio (che non si fanno ancora) e ai musei, che continuano a rimanere chiusi.
Certo, i numeri non sono quelli del 2019: mancano gli americani, i russi, gli orientali, ma si vede che Venezia tenta lentamente di ripartire. Riaprono i negozi, i locali, gli hotel, ma i musei no. Eppure sembra un turista più consapevole quello che arriva. Non è quello “mordi e fuggi” delle navi da crociera, ma il turista più interessato, quello che vuole gustare con maggiore consapevolezza e lentezza una città a cui il turismo di massa ha in parte tolto l’anima.
Finalmente, ad agosto la svolta: riaprono, con poche eccezioni, tutti i musei, con meno visite (non più otto ma cinque) e con un numero limitato di persone (da venticinque a otto). Continua la sensazione di attesa, alla quale si aggiunge quella della speranza. Speranza che a settembre si possa cominciare a lavorare di più, che la cig continui a coprire le ore mancanti, che si possa ripartire con le altre visite oggi chiuse, che le aperture dei musei possano tornare a regime. Speranza che si possa tornare a fruire degli spogliatoi e della sala mensa, senza la quale i lavoratori sono costretti a lavorare più giorni con meno ore, o a girovagare in pausa per Piazza San Marco in pieno agosto.
Speranza, però, anche di non perdere più quell’ospite consapevole che ha fame di conoscenza. Un turista che non viene a Venezia pensando di andare in un parco di divertimenti, dove se hai fortuna "becchi” l’acqua alta e puoi camminare dove vuoi perché non ci sono auto. Un turista il cui principale interesse non sia sapere dove si è sposato George Clooney o dove si è girato il film del momento.