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Detto-fatto, la proposta del ministro Valditara sul voto in condotta è divenuta legge, e tutti vissero felici e contenti, più o meno. Di certo contento è chi l’ha voluta, chiosando subito che con questo provvedimento “non si tratta di punire, ma responsabilizzare”, dato che la nuova normativa vuole mirare a “ridare autorevolezza ai docenti e ripristinare il principio di responsabilità individuale”. Una frase a prima vista chiara e condivisibile, che invece può essere letta in altro modo.
Se si vuole ridare veramente autorevolezza ai docenti, non è infatti scontato che il voto in condotta utilizzato come una mannaia si riveli la strada giusta, anche perché nel rapporto da costruire quotidianamente, con fatica, tra insegnante e discente, di solito è la disponibilità all’ascolto a funzionare meglio, non lo spauracchio di una sanzione disciplinare. Ben venga dunque la multa prevista tra i 500 e i 10.000 euro per chi minaccia verbalmente o fisicamente un maestro o un professore, anche perché nella maggior parte dei casi le minacce arrivano da genitori inferociti, e non dai rispettivi figli; ma il rispetto di studenti e studentesse, confuso troppo spesso dal ministro con il termine autorevolezza, si conquista con argomenti diversi dallo spettro di un brutto voto.
Il rischio è che uno strumento come quello dell’insufficienza in condotta, determinante per una eventuale bocciatura dell’alunno, potrebbe favorire il diffondersi della figura di una sorta di professore-sceriffo, dedito in alcuni casi a valutare il candidato più per i suoi comportamenti che per contenuti didattici. Si dovrebbe insomma puntare un po’ di più al dialogo, un po’ meno alla divisione dei ruoli in una forma quasi oppositiva.
D’altronde lo stesso Valditara non è sembrato tipo da prediligere il dialogo con gli studenti, quando pochi giorni fa uno di essi ha cercato di contestarlo a Torino, ma ha fatto appena in tempo a ricordargli che non è il ministro a rappresentare la loro voce, prima di venir trascinato via più con le cattive che con le buone, per poi esser sistemato a dovere una volta che gli uomini della sicurezza avevano guadagnato l’adeguata lontananza da telecamere e telefonini, mentre il ministro continuava a inveire contro di lui.
Una scena poco edificante, che un po’ lascia trapelare il dubbio che la tanta solerzia mostrata per la messa a punto del voto in condotta potrebbe essere anche una non troppo indiretta conseguenza di un più ampio progetto governativo, ben identificabile con l’altro recente ”pacchetto sicurezza”, che tanto somiglia a una stretta piuttosto energica nei confronti della libertà d’espressione dei cittadini, e dei diritti individuali e collettivi.
Nella migliore delle ipotesi ci troviamo di fronte all’ennesima rappresentazione di interventi-spot, caratterizzanti la reggenza del dicastero-Valditara, impegnato in quell’esercizio di distrazione di massa dai problemi che toccano il mondo della scuola in maniera molto più concreta, dalla fatiscenza progressiva di tanti istituti, che avrebbero urgente bisogno di manutenzione, all’introduzione di un maggior numero di ore per le scienze motorie, la vecchia educazione fisica, che favorita da strutture adeguate tanto bene farebbe ai nostri ragazzi. Un emendamento che alcuni membri dell’opposizione volevano inserire nel disegno di legge, prontamente rispedito al mittente.
Evidentemente, l’ordine autoritario e la ferrea disciplina per il ministro sono la priorità.