La morte, anzi l’omicidio di Satnam Singh dello scorso 17 giugno ha riacceso i riflettori sulla condizione dei braccianti nelle terre italiane, lo schiavismo dei nostri tempi, qualcosa che in un Paese democratico non dovrebbe esistere e invece è vivo e vegeto, perché parte di un sistema economico che basa i suoi profitti proprio sullo sfruttamento di esseri umani di diversa provenienza in cerca di lavoro e di un’esistenza dignitosa. Da noi invece trovano l’inferno, e in più di una circostanza, per l’appunto, la morte.

L’atroce vicenda di Satnam è infatti l’ultima di una lunga serie, di una consuetudine perpetrata nel tempo di cui troppo spesso ci dimentichiamo, o facciamo finta. E in questi giorni di sgomento, nel corso dei quali Antonello Lovato, il datore di lavoro del ragazzo indiano, è stato finalmente arrestato con l’accusa di “omicidio doloso” per “condotta disumana”, tra i pensieri che si sovrappongono tornano alla mente il sorriso e la penna di Alessandro Leogrande, scrittore e giornalista d’inchiesta tra i migliori della nostra generazione, scomparso troppo presto nel 2017 all’età di quarant’anni, quando ancora molto aveva da dirci, da insegnarci.

Dopo alcuni volumi che già lasciavano intuire le spiccate attitudini verso una scrittura portata a raccontare fatti, fatti scomodi e poco conosciuti (si pensi a Un mare nascosto nel 2000 o Le male vite. Storie di contrabbando e multinazionali del 2003), nel 2008 Leogrande conferma la tendenza del genere no-fiction, pubblicando in quella stessa collana “Strade Blu” Mondadori che due anni prima aveva accolto Gomorra il suo Uomini e caporali, una restituzione analitica e spietata di quanto accade nel Tavoliere delle sue amate Puglie, terra d’origine, per la raccolta di pomodori e altri frutti, denunciando la quotidiana pratica del caporalato, sin dal titolo al centro del suo lavoro.

Subito dalle prime righe, segnate già da uno stile ben riconoscibile, Leogrande ci racconta di un’anziana donna di Orta Nova, provincia di Foggia, una vita passata nei campi come suo marito poi morto di fatica, che cerca di dare il nome e un volto a un cadavere sepolto alla bene e meglio vicino la sua casa, di cui in paese tutti parlano ma nessuno sa nulla. Si scoprirà essere Miroslaw, “il polacco ignoto”, il cui diritto a una degna sepoltura arriverà soltanto dopo mille burocrazie, e altrettanti tentativi di nascondere la verità.

Nelle oltre 250 pagine che compongono i 23 capitoli, come nel primo i fantasmi di Satnam Singh, di caporali senza alcuna parvenza di umanità, di connivenze costruite attraverso omissioni e omertà, ritornano ogni volta con una storia diversa, che però è sempre la stessa . E dopo oltre quindici anni dalla pubblicazione di questo libro quella stessa storia, che un tempo ormai lontano vedeva vittime ma sempre carnefici noi italiani, continua a ripetersi con variazioni minime, come fosse una crudele Sherazade a tesserne le fila.

In realtà, in questi quindici anni qualcosa è cambiato, soprattutto dopo un’altra morte, quella di Paola Clemente, bracciante agricola pugliese uccisa dal caporalato il 15 luglio 2015, all’età di 49 anni. Il moto di indignazione che ne seguì diede nuova linfa alla campagna “Stop al caporalato”, iniziata da Cgil e supportata dalle manifestazioni dei lavoratori agricoli tra il 2010 e il 2011. Arriva così nel 2016 la legge n.199, “volta a contrastare il fenomeno criminale del caporalato”, che prevede un’ammenda tra i 500 e i 1.000 euro per ogni lavoratore reclutato. A conti fatti, per molti dei caporali di oggi il gioco vale la candela; e alla luce dei fatti, dopo quasi un decennio forse è giunto il momento di ottenere qualcosa in più, insistendo sulla prevenzione del fenomeno in questione, oltre che inasprire le pene.

Se qualcuno fosse in cerca di consigli per un libro da leggere in estate, procurasi una copia di Uomini e caporali potrebbe essere una buona idea: lettura certo impegnativa, ma utile a comprendere meglio quanto accadeva e accade nel nostro Paese democratico, assicurandosi allo stesso tempo una qualità narrativa notevole, unica nel suo genere.

Alessandro Leogrande è uno tra i pochi intellettuali di questo secolo, e i suoi libri ci parlano ancora, forti e chiari.