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Mentre è alle prese con l’annunciata guerra economica contro tutto e tutti, e alla ricerca di accordi favorevoli dove la guerra si combatte sul campo, Donald Trump trova il tempo di occuparsi anche del mondo dell’istruzione, per l’esattezza del Dipartimento dell’Istruzione statunitense, che vorrebbe molto semplicemente chiudere, come d’altronde promesso in campagna elettorale. E per portarsi avanti con il lavoro, ha già provveduto con cospicui tagli a colpire sovvenzioni scolastiche, personale scolastico, programmi scolastici.
L’obiettivo dichiarato è quello di “eliminare la burocrazia”, come affermato da Linda McMahon, appena nominata dal Senato segretaria all’istruzione con 51 voti a favore e 45 contrari, dopo l’investitura ricevuta nel novembre scorso dallo stesso Trump. La nuova eletta può vantare, oltre una fedeltà di lungo corso al presidente, un trentennale impegno per diffondere la World Wrestling Foundation negli Stati Uniti e nel mondo, in qualità di presidente e amministratore delegato della prima Fondazione di Wrestling in assoluto, proprietà del marito Vince: un curriculum perfettamente in linea con l’incarico ora ricoperto.
L’obiettivo invece meno dichiarato, ma che lo stesso Trump ha poi disinvoltamente confermato, è la volontà di colpire la pubblica istruzione statunitense in quanto “serbatoio del voto democratico”. Dunque i cattivi maestri non si nascondono soltanto nelle sale professori delle scuole italiane; pericolosi professori sovversivi si aggirano nelle aule americane, università comprese, ed è giunto il momento di un bel repulisti anche da queste parti, dietro suggerimento dell’onnipresente Elon Musk, vero dominus della Casa Bianca, che attraverso il Dipartimento per l’efficienza governativa ha stracciato numerosi contratti ritenuti “inutili”, o dal sapore troppo “woke” per i suoi gusti.
Da qui parte anche la guerra contro la lingua, contaminata da parole da eliminare subito, una lista di proscrizione di ordine semantico, con l’intenzione di cancellare vocaboli buoni soltanto a creare problemi: in sintesi, tutto quello che concerne i temi della diversità, dell’inclusione, della discriminazione, deve essere bandito dalla comunicazione pubblica e amministrativa, così da escluderlo progressivamente anche dalla vulgata comune.
Per misurare l’estensione, oltre l’assurdità di tale decisione, il segretario alla Difesa Pete Hegset ha bandito dai ranghi militari ogni celebrazione riguardante il Martin Luther King Day, le cui parole evidentemente non sono state ancora seppellite con lui.
Questa è l’aria che tira, dunque; un’aria che in molti sperano inizi a soffiare anche in Italia, se non soffia già: in alcuni suoi provvedimenti, che solleticano un grossolano patriottismo, il nostro Valditara sembra già volerla far respirare a pieni polmoni. La differenza è che se da noi la battaglia pare ricondursi ancora una volta a trite rivalse di carattere ideologico, alla vendetta nei confronti di quella “egemonia della sinistra” che per decenni avrebbe dominato incontrastata nelle scuole della Penisola, in Usa la posta in gioco potrebbe essere ben diversa, e ben più pericolosa.
Sì, perché se l’istruzione pubblica americana è davvero il serbatoio del voto democratico, questo serbatoio si è svuotato, c’è un buco da qualche parte, visto che Trump è alla sua seconda vittoria elettorale, ancor più netta della prima. I motivi devono dunque essere altri, e c’è chi pensa ancora a Elon Musk, alla sua voglia di passeggiare sulla Luna e conquistare Marte, dove sogna di costruire un nuovo mondo dal nulla.
Progetto ardito, che potrebbe aver bisogno di manodopera fresca, malleabile, possibilmente credulona, ridotta ai minimi termini, meglio ancora se incolta. E se una nuova schiavitù avanza, seppur in altro pianeta, il suo brodo primordiale rimane l’ignoranza.