Chi ha avuto l’opportunità di vivere nel cuore della Grande Mela, anche solo per un giorno, resterà colpito da questa Guida alla New York ribelle (pp. 507, euro 22, prefazione di Claudia Durastanti), che va a infoltire la splendida collana “Finestre” dell’editore Voland, già arricchita di contributi altrettanto dediti allo spirito di rivolta proveniente da altre città. Vi troverà infatti una storia di questa metropoli ricostruita attraverso luoghi, fatti e personaggi che dalle sue origini arrivano ai nostri giorni, attraverso protagonisti culturali e politici inseguiti in un viaggio senza tempo tra letteratura, musica, pitture, arti visive e altro ancora dall’autrice Tiziana Rinaldi Castro, a cui abbiamo rivolto alcune domande.

Da dove nasce questa idea?
Tutto è partito tramite una mia amica, Delia D’onofrio, che ogni volta che viene a New York incontro sempre volentieri. Siamo andate in un ristorante cinese, e mentre le parlavo di un altro progetto mi ha detto “devi scrivere una guida alla New York ribelle”, e non sapevo fosse una collana dell’editore Voland che già includeva altre città. A quel punto mi sono resa conto di quanto si potesse fare, così ho messo da parte il memoir che stavo scrivendo sulla città di New York, non proprio declinato al ribellismo americano.

Che legame c’è con New York?
Il mio rapporto, la mia vita con New York, dove abito da quarant’anni, è sempre stato legato alla cultura, alle arti, alla musica, alla letteratura; in fondo è l’unica città che conosco veramente, e provo nei suoi confronti un amore a volte anche ingenuo, poco critico, di grande entusiasmo, come una ragazza che si innamora la prima volta e non smette mai di essere innamorata di quell’amore.

In che modo si lavora per realizzare un libro così particolare?
Prima di tutto si lavora molto. Ho avuto bisogno di otto anni per terminare questa guida e scriverla come volevo, la materia richiede tempo e ricerca. Mi sono avvalsa di varie risorse tra biblioteche e archivi, in particolare quello del New York Times ma non solo, soprattutto quando sono andata alla ricerca di­ informazioni di carattere storico. Oltre questo c’è stata l’esperienza diretta; New York l’ho camminata, e molti dei racconti contenuti nel libro hanno richiesto parecchi giorni per visitare un luogo specifico, un palazzo, o una piazza, perché New York non soltanto è grande, ma diversa: un conto è camminare per Manhattan, o Brooklyn, altro è girare per il Queens, o il Bronx. Si è trattato dunque di un lavoro molto lungo, ma anche molto bello.

A chi è rivolta questa guida? C’è un lettore ideale?
L’ho scritta pensando a un lettore che non conosca New York, o che non ci andrà mai, con l’intenzione di raccontarla come si racconta una storia, la vita di una persona, legando tutto questo alla necessità di farlo anche dal punto di vista storico, dunque con un taglio di carattere saggistico, una scrittura non consueta per me che scrivo romanzi e racconti da novelist, la mia attitudine, che ho cercato di riportare il più possibile anche dentro questo libro. I riscontri al momento sono positivi, credo di essere riuscita nell’intento: anche mio marito, musicista newyorkese da sempre, mi ha detto che alcune cose trovate nel libro non le conosceva.

Quanto è cambiata la città negli ultimi venticinque anni, in questo ventunesimo secolo?
Credo sia cambiata molto, diventando per tanti versi più vivibile dal punto di vista della sicurezza, della libertà di muoversi, problemi che quando sono arrivata erano concreti, con zone tabù, da evitare, a iniziare dalla metropolitana… C’erano impedimenti continui, ed era una situazione frustrante dover avere paura di una strada. Ma erano anche circostanze che la rendevano per certi versi affascinante, e in questo senso è cambiata, non è più avventurosa come un tempo. Ora è ben organizzata, ordinata, tra le meno pericolose al mondo. Se penso al 1984, quando sono arrivata, era pericolosa sul serio, oltre a essere una città provata da condizioni economiche veramente al limite della sopravvivenza.

Dalla ricostruzione storica che viene fatta emerge però tutta la sua unicità, il suo aspetto per l’appunto ribelle, rivoluzionario…
Sì, e oggi tutto questo le ha fatto perdere un certo spirito rispetto al passato, portandola a essere più elitaria, meno disponibile alle energie giovanili che hanno determinato la New York che ho raccontato. Ora è divenuta costosissima, non è più quella che un po’ è stata la Berlino di qualche anno fa, dove potevi fare tutto a prezzi modici, ed era un luogo ottimo da vivere per gli artisti. Ovunque andassi, nel tuo campo trovavi personalità con cui potevi confrontarti, basti pensare alle jam session divenute leggendarie nel mondo della musica. Ma lo stesso si può dire per la scrittura, il cinema, il teatro. Era una città che non chiedeva tanto, ma che ti dava l’opportunità di incontrare il top nelle arti visive, letterarie, musicali. Questa cosa è cambiata, oggi gli artisti sono costretti a vivere con 2-3 persone nella stanza di un appartamento dai costi altissimi, e si fatica a trovare degli studi per laboratori d’arte, o di recording. Il grande drago newyorkese continua a essere l’immobiliare, e sempre più persone preferiscono spostarsi verso Philadelphia, o Detroit.

Inevitabile chiedersi quanto sia cambiata New York anche rispetto al nuovo corso politico, dopo la rielezione di Donald Trump.
Credo che in questo senso una forma di mutazione sia inevitabile, anche a New York. Il rovescio politico rappresentato da questa nuova presidenza non può che determinare un cambiamento, come d’altronde aveva fatto Obama, positivo per le questioni interne, mentre nella politica estera purtroppo gli Stati Uniti sono sempre stati propensi a diffondere un clima di guerra.

Eppure la città dovrebbe essere per l’appunto ribelle a tutto questo, quasi per conformazione…
Sì, la sua natura è certamente questa, come d’altronde San Francisco, o Chicago, città dove sono accadute le cose più importanti dal punto di vista culturale e politico. New York non può fare a meno di mutare, data la situazione attuale, ma è una città fatta da cittadini, forse nessun’altra come lei.

Cittadini diversi dagli altri?
Diversi perché qui in due giorni puoi entrare subito nella sua logica cittadina. Penso alla differenza con il paese dove sono nata in Italia, Sala Consilina, provenendo da una famiglia del profondo sud, e come siamo ancora considerati un po’ forestieri, dopo decenni… A New York dopo due giorni sei già un newyorkese, ciascuno portando con sé il proprio vissuto.

Non potrebbe ripartire proprio da New York un vento di cambiamento rispetto all’aria che si respira in questi tempi?
Io spero continuino ad arrivare persone che portino nuove energie, linfa vitale. Devo dirti che sono tornata da poco tempo in città, e si respira un’atmosfera molto pesante, come nel resto degli Stati Uniti. Ci si sente minacciati in quelle che sono state le sue radici democratiche e rivoluzionarie, che questo governo mette a rischio. Mi sembra un mostro che non riconosco più.

Per esempio?
Penso alle retate contro gli immigrati, anche nelle università, dove sono andati a prendere persone sospette, come alla Columbia: una forma di repressione fortissima. Ora su questi temi la legge non è più statale ma federale, vorrebbe essere nazionalizzata. E se ci si dovrà piegare a questa nuova realtà, difendersi sarà difficile. New York da sempre è stata una città-santuario, che faceva entrare immigrati anche clandestini, senza una situazione chiara, definita. Credo non sarà più così.