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“Fulvio, ma sai cosa è successo?” È il giorno di San Valentino quando da Fulvio Martis, tecnico del Teatro dell’Opera e rsu della Slc Cgil, arriva una delle ventidue ballerine colpite da una contestazione disciplinare del tutto inaspettata. “Ma sono impazziti?”, risponde Martis di fronte a un racconto che, più passano i giorni, più assume contorni grotteschi.
Poco più di una settimana fa, infatti, le ballerine del teatro erano state autorizzate a sospendere le prove e tornare a casa, per via di un malfunzionamento dei bagni, totalmente inagibili. L’impossibilità di accedere ai servizi igienici per un’intera giornata deve essere sembrata un valido motivo all’ispettore interpellato per autorizzare le ballerine a lasciare il teatro. Così come alla maggioranza di coloro che in questo momento staranno leggendo. Ma qualcosa deve essere andato storto – e ancora non è completamente chiaro cosa –, poiché le ballerine sono state successivamente raggiunte da una contestazione disciplinare da parte della direzione per abbandono del posto di lavoro senza autorizzazione.
“Era incontrovertibile che la loro uscita fosse stata consentita dall'ispettore e non fosse una libera iniziativa – spiega Laura Aluisi, che per la Slc Cgil Roma e Lazio coordina la produzione culturale –. A testimoniarlo ci sono gli scambi di email. Perché la direzione non ha contattato le rsu e gli rls preposti per capire insieme come risolvere il problema?”. Le ballerine raggiunte dalla sanzione non sono iscritte Slc Cgil ma la categoria, venuta a conoscenza dei fatti, ha deciso di impugnare la contestazione per fare luce sull’ennesimo pugno di ferro del teatro nei confronti di lavoratrici e lavoratori.
“Ballerini considerati figli di un dio minore”, dice Aluisi, che non ci sta ad accettare questa ulteriore prova di forza da parte di uno dei luoghi sacri dell’eccellenza culturale italiana. “L’atteggiamento da parte della direzione è al contempo autoritario e paternalistico. Ma soprattutto sordo a qualunque tipo di confronto con i lavoratori e con noi sindacati che li rappresentiamo”, commenta.
Il teatro ha, infatti, innalzato un muro sulla questione delle contestazioni disciplinari, così come aveva già fatto rispetto a quello dei mimi che tutt’ora restano – parole del direttore dell’Opera – una “non priorità”.
Come racconta Fulvio Martis, “per risolvere la cosa sarebbe bastato recuperare le prove scritte nella cronologia degli scambi di email tra le ballerine e l’ispettore, in cui quest’ultimo comunicava che il problema sarebbe stato risolto per il giorno successivo”. Ma la grande – e forse più ovvia – delle domande è: che fine ha fatto l’ispettore? Non sarebbe stata sufficiente una sua conferma dei fatti per spingere la direzione a ritirare il provvedimento disciplinare?
La risposta – forse altrettanto ovvia – sta in quella che Aluisi definisce “una governance particolarmente allergica alle segnalazioni per iscritto su ciò che non funziona. Nonché poco predisposta alle relazioni sindacali”. Quello che ci raccontano gli ultimi episodi al Teatro dell’Opera di Roma è un dramma più cupo della più cupa trama pucciniana. Qui, a morire di stenti e di ingiustizie, è la stessa musica italiana, attraverso i suoi artisti e le sue maestranze, costretti a paghe da fame, diritti non rispettati e continui ricatti. In nessun posto al mondo si possono trattare i lavoratori come schiavi. Meno che mai al Teatro dell’Opera di Roma, con il muto assenso (perché tale è il silenzio) delle istituzioni.