Il mondo delle Fondazioni lirico-sinfoniche non è nuovo alle proteste da parte di lavoratrici e lavoratori, che rivendicano condizioni di trattamento e retribuzioni più dignitose. Ma quella che vi raccontiamo ora è una storia di sfruttamento che sfiora la similitudine con il caporalato vissuto sulla pelle dei braccianti nelle campagne italiane. Cambia il contesto, resta la sostanza.

PAGHE DA FAME 

Siamo al Teatro dell’Opera di Roma, una delle istituzioni più importanti e rappresentative nel panorama della lirica. Eppure, da anni nell’occhio del ciclone per le disuguaglianze procrastinate all’interno e le ingiustizie subite da coristi, orchestrali, maestranze. In generale, la lirica vanta produzioni milionarie fortemente sbilanciate quando si va a rendicontare la distribuzione delle risorse. Un direttore d’orchestra può arrivare a un compenso di 90 mila euro per la messa in scena di un’opera/recita/spettacolo. A questa stessa cifra, togliete tutti gli zeri (90 euro) e dividetela per metà. Poi dividete ancora, e avrete la paga giornaliera di un mimo o di una mima.

CHI SONO I MIMI?

Quando si usa questo termine nella lirica non è da immaginarsi Marcel Marceau, ma piuttosto attori e attrici, danzatori e danzatrici estremamente qualificati, che nello specifico dell’opera svolgono tutte quelle azioni sceniche e movimenti di coreografia che non richiedano l’uso della parola. Artisti diplomati, professionalmente coinvolti anche in altri percorsi lavorativi più complessi, che non rientrano in alcun modo nella categoria di chi questo mestiere lo fa per hobby.

MENO DI 500 EURO PER UN MESE DI LAVORO

Lavoratori però autonomi, al momento non riconosciuti come figura professionale all’interno del contratto nazionale delle fondazioni lirico-sinfoniche.Sebbene nell’ultimo rinnovo 2019-2021 sia fatto espresso richiamo alla necessità di normare anche questi professionisti, al momento si ritrovano in un limbo, che continua a dare spazio a forme di sfruttamento molto gravi e pesanti. A partire dai compensi da fame. Per una produzione di un mese, prove più repliche, il Teatro dell’Opera di Roma corrisponde cifre forfettarie nell’ordine delle 1700 euro, lorde. Che, quindi, con partita Iva, al netto delle tasse, diventano circa 500. 

LA PRIMA DEL SIMON BOCCANEGRA

Parliamo, infatti, di professionisti “costretti” a lavorare a partita Iva, ai quali alla fine resta ben poco in tasca di quella cifra lorda, e in partenza già di per sé esigua. Le prove non vengono retribuite, mentre per gli spettacoli la paga è di 250 euro lorde a replica. “Questo per esempio sta succedendo attualmente a coloro che lavorano alla produzione del Simon Boccanegra – spiega Celeste Gugliandolo, segretaria territoriale Slc Cgil Roma e Lazio con delega alla produzione culturale – che debutterà a Roma mercoledì 27 novembre.

PROVE E STRAORDINARI NON PAGATI 

Trenta giorni di prove senza orari prestabiliti, sette giorni di spettacolo. Una disponibilità h24”. Ai mimi, infatti, durante il periodo di allestimento, viene richiesta una sorta di reperibilità costante, a discrezione della produzione, che rende abbastanza complicata l’organizzazione del proprio quotidiano, personale e lavorativo. Un atteggiamento dispotico delle produzioni, che impongono condizioni capestro al grido di “tanto se te ne vai tu, ci sta la fila dietro. Ne prenderemo un altro”. Artisti talmente fragili e ricattabili che dopo due assenze la produzione può protestarli senza dare altre spiegazioni.

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CONDIZIONI DI LAVORO NON DIGNITOSE

“L’Opera di Roma dovrebbe essere il fiore all’occhiello delle fondazioni lirico-sinfoniche, per altro enti che ricevono centinaia di migliaia di finanziamenti pubblici – commenta Gugliandolo - oltre al fatto che parliamo di produzioni dal budget elevatissimo”. Per il Simon Boccanegra stiamo sui 630 mila euro. Costo per il direttore d’orchestra: 90 mila. Costo per diciotto mimi: circa 33mila euro. Bastano nozioni basilari di aritmetica per fare un conto che lascia l’amaro in bocca. A cui si aggiunge un trattamento alquanto discutibile da un punto di vista delle condizioni di lavoro: “i mimi ricevono convocazioni random con poco o nessun preavviso; si cambiano nei corridoi, perché non hanno accesso ai camerini, in condizioni igienico-sanitarie discutibili, tra il calcestruzzo e la segatura, perché all’Opera stanno facendo dei lavori di ristrutturazione”.

LA PAGA UN’INCOGNITA, IL PROVINO UNA TORTURA

I provini per una produzione lirica possono durare anche tre giorni, senza che venga fatta alcuna menzione sul tipo di impegno orario e senza calendari. Gli artisti selezionati le conosceranno solo al momento della firma, spesso scoprendo di avere l’obbligo di non lasciare più Roma fino alla fine dell’impegno. “Siamo di fronte a paghe che sprofondano addirittura al di sotto del minimale per il versamento dei contributi – prosegue Gugliandolo – e per aggirare il problema la produzione che fa? Alza la paga? No, aumenta la tassazione a carico del lavoratore per raggiungere la contribuzione corretta”.

SE TI INFORTUNI, NON TI PAGO 

Ma la cosa ancora più terribile, se quanto scritto fino ad ora non bastasse, è che non esistono tutele basilari, come l’indennità di malattia. Se un artista si fa male durante le prove o le repliche – ipotesi tutt’altro che peregrina quando si lavora con il corpo – non ha diritto ad alcuna forma di riconoscimento. Perde la retribuzione, che viene riconosciuta solo se si va in scena. “Stiamo parlando dell’Opera di Roma dove la situazione è eclatante – dice Gugliandolo – ma non possiamo escludere che pratiche simili vengano portate avanti anche in altre Fondazioni. Certo è che il sovrintendente Francesco Giambrone è stato abbastanza chiaro: I mimi per noi non sono una priorità”. Artiste e artisti che non solo si vedono corrispondere paghe misere e prove non retribuite, ma che devono persino andare in scena gratuitamente.

REPLICHE NON PAGATE 

Un tempo, infatti, le cosiddette ante-generali erano una sorta di prova aperta a cui il pubblico giovane assisteva con un biglietto omaggio. Un’ottima occasione per offrire cultura “alta” rendendola accessibile, che poteva in qualche modo “giustificare” la non retribuzione di parte del cast. Ma oggi, i giovani assistono a queste anteprime pagando, cosa che già di per sé urlerebbe vendetta. Si aggiunga l’ulteriore aggravio di questo sulle spalle dei mimi. Un tempo, inoltre, le paghe si aggiravano intorno ai 700 euro a replica, per una decina di giorni di spettacolo, per cui il peso di un’anteprima non pagata era di gran lunga inferiore. Oggi per un impegno lavorativo full time di oltre un mese si raggiungono retribuzioni nette di circa 700, 800 euro in totale.

I LAVORATORI E LA PAURA DI DENUNCIARE

Ancora una volta, quella che ci troviamo di fronte è una scena da tragedia greca: un sistema culturale totalmente allo sbando, tenuto in scacco da poche grandi produzioni che operano in maniera arbitraria e dispotica. Artisti e maestranze sempre più ricattabili, costretti ad accettare tutto, a dire sempre sì. Lavoratrici e lavoratori che hanno paura persino di parlare perché “se ti esprimi, sul tuo nome tirano una riga nera e non ti chiamano più”. Questo è il vergognoso stato dello spettacolo dal vivo in Italia. Il bel paese del bel canto. Dove gli artisti muoiono di fame. E di vergogna.