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Per gentile concessione dell'editore, pubblichiamo un estratto dal volume di Giada Messetti, Nella testa del dragone. Identità e ambizioni della nuova Cina, Mondadori 2020.
Nel 2002, quando sono sbarcata in Cina per la prima volta, sulle strade di Pechino circolavano soprattutto biciclette, vecchie auto e carretti di ogni forma e dimensione. Noi stranieri ci muovevamo in autobus – mi ricordo viaggi di due ore per fare 20 chilometri – o in taxi. Negli anni, la mobilità pechinese è molto cambiata: le auto sgarrupate sono state sostituite da ingombranti macchinoni di marchi prestigiosi, il numero dei carretti e delle biciclette è sceso drasticamente, mentre sono spuntate decine di migliaia di bici elettriche.
Pechino è grande come il Lazio e ha più di venti milioni di abitanti. Le principali arterie stradali della città si chiamano "anelli" e sono delle gigantesche circonvallazioni. Il primo anello percorre i quattro lati della maestosa piazza Tienanmen, il cuore della capitale. Ora, dentro il perimetro della città, le circonvallazioni sono diventate in tutto sette e la settima, inaugurata nel 2018, con i suoi 900 chilometri di lunghezza, è la circonvallazione più lunga del mondo: in alcuni punti dista 175 chilometri dal centro. A parte la zona del centro storico interna al secondo anello, in cui sopravvivono molti hutong, gli antichi vicoli di Pechino che hanno finito per dare il nome ai quartieri tradizionali della vecchia città, il resto della metropoli è pieno di incroci giganteschi e di enormi stradoni, con tre, quattro corsie per direzione di marcia.
Spostarsi a Pechino oggi, nonostante le grandi distanze, è diventato molto comodo, soprattutto grazie alle nuovissime linee della metropolitana, passate nell’ultimo decennio da otto a ventidue, per un totale di 640 chilometri. I taxi, tuttavia, continuano a rimanere una sicurezza nei momenti di estrema fretta anche se, ora, non si fermano quasi più quando li chiami sbracciandoti dal ciglio della strada. Bisogna prenotarli, e pagarli, utilizzando Didi, un’applicazione per smartphone che ricorda Uber. In uno dei miei ultimi soggiorni in Cina, ho avuto modo di intavolare un dialogo costruttivo, utile a conoscere il presente e a immaginare il futuro di quell’immenso paese. Sono a Pechino, quartiere di Guomao, esterno giorno. Niente Didi, il cellulare giace scarico nella mia borsa. Rischio di arrivare in ritardo a un appuntamento. Mi lancio in mezzo alla strada, agitando il braccio come una forsennata. La fortuna mi assiste. Una Hyundai Elantra verde e gialla, il classico taxi pechinese, rallenta e si avvicina. Salgo. Mi è andata bene: l’auto è molto pulita e ordinata.
L’onnipresente thermos trasparente è appoggiato accanto al freno a mano. Dalle foglioline scure puntate come piccole frecce sul fondo si capisce che è pieno di tè verde. L’autista conosce il posto dove sono diretta, ma ordina comunque al gps del suo telefono di indicargli il percorso. Un tempo, i tassisti andavano a memoria. La loro conoscenza delle strade di una megalopoli di tale grandezza, per giunta in continuo mutamento, era davvero impressionante. Ora, questo incredibile talento non è più sondabile, perché tutti si affidano al navigatore per evitare di incappare in polemiche con i clienti.
In un attimo io e lo shifu, l’autista, ci ritroviamo imbottigliati nel traffico del terzo anello. Auto, autobus, motorini, biciclette, bici elettriche, carretti vari sfrecciano alla nostra destra e alla nostra sinistra, in sprezzo a ogni regola della strada, occupando tutti gli interstizi possibili. Per fortuna, la velocità, almeno in questo tratto, è misurata. Cominciamo la conversazione con il classico canovaccio del dialogo tra passeggero occidentale che parla cinese e tassista pechinese: di dove sei? Per quanto tempo hai studiato il cinese? Sei qui per lavoro o studio? Quando entriamo un po’ in confidenza, azzardo e abbozzo una conversazione sul progetto della Nuova via della seta. Lui si fa serio e mi guarda dallo specchietto retrovisore. “Adesso ti spiego una cosa: sai perché nel mondo la lingua comune, quando si tratta di comunicare, è l’inglese? Perché nella storia a un certo punto il paese più potente è stato l’Inghilterra. Aveva molte colonie ed era molto influente, quindi tutti dovevano sapere l’inglese. Poi sono arrivati anche gli Stati Uniti. Pensa a noi due, se tu non sapessi il cinese, useremmo l’inglese".
"Hai nominato la Nuova via della seta. La conosci?” “Sì, certo.” “Ecco, quando il progetto della Nuova via della seta sarà terminato, la lingua delle comunicazioni internazionali sarà il cinese, non più l’inglese. L’English (si diverte a pronunciarlo in lingua) ci ha messo duecento anni per diventare così diffuso, quindi non so dirti quando succederà col mandarino, ma è chiaro che questo sarà il futuro. Adesso è la Cina a essere la nazione più potente. L’Italia è tra i paesi interessati dal percorso della Nuova via della seta: è vero o no che sempre più persone studiano il cinese? Ed è così in tutti i paesi toccati dal progetto.” Sono arrivata a destinazione, la berlina accosta e si ferma. L’autista storce il naso: sono una dei pochi clienti rimasti a pagare in contanti. Ora si ritufferà nel dedalo delle strade o forse approfitterà per appisolarsi sui sedili posteriori e riposare un po’. Difficilmente mi scorderò di lui e della sua originale lezione di geopolitica on the road.