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“Non ero mai riuscito a chiedere scusa a mia madre per i reati commessi. Non so perché non riuscissi a dirlo. Mi vergognavo troppo del dolore che le avevo fatto provare... o forse una parte di me, sapendo che mia mamma mi avrebbe perdonato, pensava di non meritarlo”. Davide ora è un ragazzo libero, ma da detenuto dell’Istituto Penitenziario Minorile Paternostro di Catanzaro, ha partecipato a uno dei laboratori di rap del Presidio Culturale Permanente, un progetto di CCO - Crisi Come Opportunità. In Calabria, i due incontri settimanali con i ragazzi sono condotti da Christian Zuin, Nancy Cassalia e Giuseppe Fazzari, e coordinati dal rapper Kento.
Nancy Cassalia, Scusa Mamma è il brano che Davide, in arte Davo, ha scritto con il supporto degli educatori e di altri ragazzi e ragazze. Un brano autobiografico, con una funzione catartica.
Davo ha una spiccata dote naturale per la scrittura. Riesce a mettere giù i suoi pensieri e questo lo fa sentire più libero. Questo progetto è stato per lui fondamentale, il mio collega Christian Zuin ha costruito una base musicale adatta per il testo che aveva scritto, e non posso dimenticare il giorno in cui- era un venerdì- gliel’abbiamo fatta ascoltare. A Christian brillavano gli occhi, mi ha detto “ho fatto venire una squadra di archi”, perché Davide ci potesse cantare sopra. All'inizio arrivava con i suoi quaderni e ci faceva leggere testi molto generici. Uno in particolare sulla guerra perché, avendo origine ucraine, raccontava di quanto male facessero le bombe e di quanti bambini stessero morendo. Poi pian piano, grazie alla conoscenza e alla fiducia, ha deciso di farci leggere quel testo. Una storia reale: “Scusa mamma, se ti prendo i biglietti per i posti più brutti d'Italia” non è solo la barra di un pezzo rap, è l’esperienza autentica di un ragazzo che, avendo origini del Nord, costringeva la madre a farsi centinaia di chilometri per poter partecipare al colloquio e vederlo.
Sono 516 i minori e i giovani adulti detenuti negli istituti penitenziari italiani all’inizio del 2024, il dato più alto registrato negli ultimi 10 anni. Progetti come CCO – Crisi Come Opportunità, sono di vitale importanza, per fornire ai ragazzi e alle ragazze in custodia della degli stimoli concreti per metabolizzare quello che vivono e al tempo stesso pensare in maniera costruttiva al loro futuro.
Il nostro lavoro di educatori non si esaurisce nell’ipm, ma continua anche dopo, perché una volta che si chiude quella porta, si apre quella della vita quotidiana. Un giorno Davide mi ha chiamata e mi ha detto “ti presento la mamma a cui ho chiesto scusa”. La canzone è un pezzo di un percorso di maturazione e consapevolezza. Davide non solo ha scelto di non essere più il ragazzo che è entrato in ipm, ma l'ha voluto dire pubblicamente. E questo non è un passaggio scontato, non è neanche un processo facile, perché molte volte all'interno degli istituti di detenzione si compie un processo di maturazione che poi si scontra con la realtà che c’è fuori. Sono davvero rare le volte in cui questi ragazzi dicono pubblicamente “io non sono più quello di prima”. Di solito tendono a mantenere una corazza, un atteggiamento da duri, un certo distacco. Davide, invece, ha avuto il coraggio di urlarlo al mondo. Ogni volta che sento questa canzone il cuore mi va in frantumi. Ogni barra è una carezza che piano piano li ricompone.
Dalle sue parole emerge tutta l’emozione di chi questo lavoro lo fa spinto da una vocazione profonda. Il vostro ruolo, accanto a ragazzi così giovani, può davvero fare la differenza, salvare vite che possono ancora andare diversamente.
Negli ipm finiscono gli ultimi tra gli ultimi, i ragazzi che non hanno avuto alcun tipo di possibilità, o che sono stati educati in un modo che non permette di conoscere quale potrebbe essere l'alternativa. Questo che conduciamo con loro è un laboratorio di musica, ma è anche molto altro. Un percorso di di introspezione, di dialogo. Lì dentro noi siamo le uniche persone da cui non dipende la loro vita, nel senso che non scriviamo relazioni, non li giudichiamo. Quindi per loro è più facile riuscire ad aprirsi. Una volta un ragazzo mi ha voluto confidare il reato che aveva commesso e per cui era finito dentro, dettagli che noi assolutamente non chiediamo e di cui non parliamo per nostra iniziativa. Lui mi guarda e mi dice “ma hai capito cosa ho fatto? Gli ho risposto “sì, ma io ho imparato a volere bene a chi sei, non a chi eri”. Un altro ragazzo mi ha raccontato che voleva a tutti i costi tornare nell’istituto detentivo dove si trovava prima che lo trasferissero a Catanzaro, perché lì tutti gli portavano rispetto per il suo cognome, la sua famiglia. Ne abbiamo parlato, e l’ho fatto riflettere su come quello che nutrivano per lui non fosse amicizia, ma timore reverenziale verso un nome. Ci ha ripensato e non ha più voluto trasferirsi.
La musica ha un grande valore terapeutico, supporta le ragazze e i ragazzi in un percorso di consapevolezza, ma rende anche molto più sopportabile la vita dentro, trasformandola da parentesi in opportunità.
In quattro anni siamo riusciti ad avere uno studio di registrazione, anche grazie all’impegno del direttore. Ora abbiamo il nostro posto felice all'interno dell'istituto, abbiamo un'aula tutta pitturata, con la lavagna dove i ragazzi scrivono i loro pensieri. A breve avremo un'attrezzatura pronta per farli registrare ogni volta che vogliono. Siamo in continua trasformazione, anche se devo dire che fin da subito, dal settembre 2021, ci hanno accolto in maniera straordinaria e ci hanno subito dato fiducia.
“Ora sarò migliore” è la promessa di Davo alla madre. Oggi Davide è un ragazzo libero.
Davide oggi è un ragazzo libero, sta lavorando. Per carattere è molto timido, ma si esprime bene attraverso la scrittura, l’unico strumento attraverso il quale raccontare un passato che gli fa male. Prima di essere Davo il rapper, Davide è un ragazzo che non ha avuto le mie stesse possibilità e ha pagato il prezzo per la sua strada sbagliata. Si sta rimettendo su quella giusta, fatta di uscite, di amici, di famiglia.
Aiutare i giovani ad immaginare un futuro diverso da quello a cui pensano di essere destinati: questo lo scopo di Crisi Come Opportunità. Dentro capiscono che possono cambiare, ma la vera sfida è fuori. Le è capitato di conoscere ragazzi che sono tornati di nuovo in ipm?
Mi sono capitati due ragazzi. Il primo aveva lasciato l’ipm per andare in comunità, ma poi è tornato in ipm, perché fuori si era perso di nuovo. Non gli piaceva la vita della comunità e inoltre c’è da considerare che l’istituto per loro diventa una comfort zone. Dentro in ogni caso sono “tranquilli”, le giornate procedono secondo un ordine, fanno quello che devono fare e non fanno quello che non possono fare. Quando escono diventa tutto molto più difficile. E poi c'è stato un altro ragazzo che avevamo conosciuto in comunità e poi però lo abbiamo ritrovato in ipm. Nel momento in cui i ragazzi escono vivono una destabilizzazione profonda. A volte capita che riusciamo a chiedere loro di continuare un percorso con noi, altre volte sono così destabilizzati che non riescono a razionalizzare ciò che sta succedendo. Proprio su questo c’è tanto da fare. Ci stiamo lavorando e vorremmo concentrarci su come accompagnarli fuori.
A proposito di musica, di narrazione e di istituti detentivi minorili. Cosa ne pensa della serie “Mare fuori”. Non rischia di essere un racconto troppo distante dalla realtà e che, dunque, la distorce?
Sicuramente ha dato spazio e umanizzato il racconto di quello che avviene dentro agli ipm. Lo dico per esperienza personale. La prima volta che ci sono entrata a 18 anni, da volontaria, la notte prima non riuscii a chiudere occhio. Mi immaginavo questi ragazzi mostri, brutti e cattivi. Il giorno dopo, invece, incontrai dei fratelli minori. Grazie alla serie Mare fuori si prova a guardare più l’umano che il reato. Certo, ci sono tante cose che sono molto lontane dalla realtà, e di questo ne abbiamo parlato anche con i nostri ragazzi, che ci hanno persino scritto una barra: “Qui il mare fuori non esiste”. Oggi la nostra responsabilità, quando andiamo a parlare nelle scuole o quando accogliamo qui delle scuole, è abbattere gli stereotipi. Anche quelli che sono stati creati dalla serie tv. Lo faremo a breve con una scuola di Torino che verrà a trovarci nelle prossime settimane. Saranno gli stessi ragazzi detenuti a fare un gioco con gli studenti in visita, per smontare insieme gli stereotipi nati con la serie Mare fuori.