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“Basta con questo utilizzo privato del mezzo pubblico”. Giornalisti e dipendenti Rai, e non solo, non hanno preso bene – come dar loro torto – la lunga intervista del ministro Gennaro Sangiuliano andata in onda ieri sera (4 settembre) al Tg1. “Quindici minuti di parola a un ministro su fatti sui quali le opposizioni hanno chiesto di riferire in parlamento non sono altro che un uso personale del servizio pubblico”, si legge su Articolo 21.
Quindici minuti per voce sola, senza contraddittorio, senza opposizione, senza repliche. Nel coro unanime di proteste, le voci dell’Usigrai e dei sindacati Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil, Fnc Ugl, Snater, che aggiungono un motivo in più alla lunga lista di ragioni alla base dello sciopero dei dipendenti Rai già proclamato per il 23 settembre.
L’agitazione era stata annunciata a seguito della mancata approvazione da parte dei lavoratori dell'ipotesi di rinnovo del contratto di lavoro per quadri, impiegati e operai del 16 luglio 2024. Ma le motivazioni erano già molteplici: piano industriale e prospettive aziendali (vendita di ulteriori quote di Rai Way per sostenere il piano industriale); incertezza sul sostentamento economico dell'azienda; incertezza sulla quantità e modalità di esazione del canone dal 2025 dopo il taglio del 2024.
Oggi c’è una ragione di più, dopo giorni di telenovela mediatica che hanno visto come protagonisti il ministro della cultura e Maria Rosaria Boccia. “Pensavamo che la pessima qualità di alcuni prodotti Rai avesse ormai raggiunto livelli imbattibili – si legge nella nota della Slc Cgil –, ma l’intervista del direttore del Tg1 al ministro Sangiuliano ci ha costretto a ricrederci”.
Per le organizzazioni sindacali la misura è colma, non si può pensare di continuare a piegare il servizio pubblico e i suoi professionisti a certi livelli, costringerli a prestarsi a operazioni che allontanano l’azienda dal paese: “Se si vuole dare un futuro alla Rai, bisogna liberarla da questo senso di dipendenza dal potere. Darle una certezza delle risorse, una governance capace e indipendente, un’autonomia dalle ingerenze ormai non più procrastinabile”.
Eppure, come scrive Barbara Scaramucci su Articolo 21, il vero danno non sono, in sé e per sé, le relazioni pseudo-amorose di Gennaro Sangiuliano, per quanto del tutto discutibile sia stato il metodo adottato nel gestire la vicenda. Il dolo reale resta l’azione politica del ministro, dall’organizzazione del G7 della cultura ancora in alto mare ai libri non letti dello Strega; dalla riforma al ribasso del tax credit, “per evitare sprechi e moralizzare il settore” (parole testuali del ministro) alle nomine basate su criteri di fedeltà politica.
Ciliegina sulla torta, le celebrazioni per i due secoli e mezzo di Napoli, post sui social che quest’estate aveva già fatto rotolare giù la testa del social media manager del ministro, abituato a dare sempre la colpa agli altri. Ma “toccato il fondo, se non si vuole scavare, si deve risalire – conclude la nota Slc Cgil – e lo sciopero è un’occasione per farlo. Appuntamento, dunque, al 23 settembre.