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Se con I Ferri dell’editore, pubblicato giusto dieci anni fa, l’autore si soffermava sulle sfide che avrebbero atteso il mondo dell’editoria nel corso del nuovo secolo, con particolare riferimento alle case editrici indipendenti, ora con L’editore presuntuoso (pp. 248, euro 10, edizioni E/O) Sandro Ferri propone un pamphlet pensato non solo per le giovani generazioni di lettori e potenziali nuovi editori, con una vis polemica tipica del personaggio che inchioda l’intera filiera dell’editoria italiana e internazionale a precise responsabilità, senza risparmiare nessuno. Nemmeno se stesso.
Il protagonista del libro, costruito secondo un’affinata tecnica narrativa che alterna capitoli di riflessione critica a “fatti” accaduti nel corso del tempo, è da subito l’editore-soggetto, vale a dire colui il quale viene definito dagli addetti ai lavori “editore puro”, figura ormai quasi mitologica, associata a quella dell’editore indipendente. Tra le prime questioni poste nel volume c’è proprio chiedersi se questo editore-soggetto riuscirà a sopravvivere, lottando tra gli altri contro chi si presenta al cospetto del mercato editoriale nel ruolo di editore-macchina, o editore-algoritmo: l’esempio su tutti, e ancora una volta, è il (non) modello Amazon, che al ruolo di promotore-distributore sta cercando di soppiantare e sostituire anche quella dell’editore stesso, attraverso titoli che certo vendono decine di migliaia copie, in base ai gusti ben calcolati del lettore-consumatore, senza però tener conto della qualità di quanto immesso nel variegato universo dei libri.
Un meccanismo chiaramente poco condivisibile per chi come Sandro Ferri, sua moglie Sandra Ozzola, e ora la loro figlia Eva, della lettura di un manoscritto, della sua discussione nelle riunioni di redazione, della sua correzione in bozze, della copertina, della quarta di copertina, delle strategie promozionali, sino all’arrivo sugli scaffali delle librerie e infine tra le mani del lettore, ne hanno fatto una comune ragione di vita, un modo di essere, un metodo di lavoro. Un marchio di qualità.
Gli esempi potrebbero essere infiniti, e lo stesso editore Ferri ci ricorda quanto sia stato importante, per far tornare i conti di un’attività che ha dovuto combattere battaglie metro per metro con banche, istituti immobiliari e agenti letterari senza scrupoli, la svolta avvenuta all’inizio di questo secolo, grazie a titoli di enorme diffusione come “L’eleganza del riccio”, e l’esplosione mainstream di Elena Ferrante, di cui nessuno forse ricorda più gli esordi a partire da “L’amore molesto”, mai divenuto best-seller malgrado la bellissima versione cinematografica realizzata da Mario Martone nella metà degli anni Novanta.
E seppure l’identità della Ferrante ovviamente non viene rivelata (tra le righe potrebbe celarsi qualche ipotetico indizio), è grazie a lei, come a Massimo Carlotto, il cui legame con la casa editrice rappresenta un’altra unicità nella maggior parte dei rapporti tra un editore i suoi autori, che adesso Sandro Ferri può permettersi più di quanto non abbia già fatto in precedenza incursioni non soltanto in tema di “gossip” (piccante e divertente il commento sui meccanismi del Premio Strega e del ruolo dei premi letterari in genere), ma soprattutto per continuare la virtuosa ricerca di nuovi talenti, la sperimentazione di altri generi, supportato in questo senso dalle intuizioni delle nuove leve, ben guidate da Eva Ferri.
Ma il passaggio di consegne, il tuffo per immergersi del tutto nell’immenso oceano di questo secolo, avviene quotidianamente tra le stanze della casa editrice attraverso uno scambio continuo, che mescola le generazioni senza lasciarle ciascuna a coltivare le proprie esperienze, passate e presenti, con l’idea di voler interpretare insieme il prossimo futuro. Ed è forse questa, oggi come ieri, la prerogativa essenziale che caratterizza il viaggio poliedrico di questo editore.