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Rosa Luxemburg, ultimogenita dei cinque figli, nasce a Zamość, una piccola città del voivodato di Lublino, nell’allora Nazione della Vistola, il 5 marzo 1871 in un’agiata famiglia ebraica ashkenazita.
“Una donna - scriveva di lei Bruna Bianchi - che cercò di opporsi a un sistema sociale costruito e guidato dagli uomini, che non permise mai al sessismo e all’antisemitismo di condizionare il suo agire, determinata a rompere le barriere di genere, ad affermare il diritto di essere ascoltata, il diritto alla propria indipendenza, che riuscì a far sentire la propria voce e a dimostrare che le sue idee erano importanti e meritavano attenzione. Una disposizione d’animo che si riflette nel suo autoritratto del 1911: una donna volitiva, fiera, che sapeva 'guardare nel profondo di se stessa' e che da quella prospettiva guardava il mondo”.
Curiosa e intelligentissima, Rosa impara piccolissima a leggere e scrivere - da autodidatta - in polacco, tedesco e russo, la lingua ufficiale dell’impero del quale la Polonia faceva parte. Ancora prima di compiere vent’anni sente il bisogno di interessarsi in prima persona ai problemi del mondo e nei due anni successivi studia - in una Polonia infiammata da scioperi e manifestazioni - le opere di Marx ed Engels.
Profondamente pacifista, poco dopo lo scoppio della prima guerra mondiale abbandona la carriera di insegnante e si dedica alla militanza politica. Nel 1916, ancora in pieno conflitto, esce dalla Spd e fonda, con il suo migliore amico Karl Liebknecht, la “Lega di Spartaco”, poi il primo partito comunista tedesco. I due movimenti politici tentano, nel gennaio 1919, un’insurrezione armata, che però viene soffocata nel sangue dall’esercito: Rosa e Karl vengono fucilati a Berlino il 15 gennaio dello stesso anno. Il giorno prima del suo assassinio, il 14 gennaio 1919, usciva sulla Rote Fahne un articolo di Rosa Luxemburg, dal titolo “L’ordine regna a Berlino”, che così si concludeva:
“La direzione è mancata. Ma essa può e deve essere creata a nuovo dalle masse e tra le masse. Le masse sono il fattore decisivo, sono la roccia sulla quale sarà edificata la vittoria finale della rivoluzione. Le masse sono state all’altezza della situazione, esse hanno fatto di questa “sconfitta” un anello di quelle catene di sconfitte storiche, che sono l’orgoglio e la forza del socialismo internazionale. E perciò, da questa “sconfitta” sboccerà la futura vittoria. “L’ordine regna a Berlino”. Stupidi sbirri! Il vostro “ordine” è costruito sulla sabbia. La rivoluzione è già domani “di nuovo” si rizzerà in alto con fracasso e a vostro terrore si annuncerà con clangore di trombe. Io ero, io sono, io sarò”.
“Rosa - scriveva Gabriele Polo - che quando arrivò in Germania era tutto ciò che il potere tedesco detestava: donna, polacca, ebrea, comunista (…) Rosa che in carcere preferiva “il canto delle cinciallegre alle elucubrazioni dei dirigenti di partito”. (…) Rosa che attaccava Bernstein perché rinunciava alla rivoluzione e Lenin perché rinunciava alla democrazia, ché se le due cose non stavano insieme sarebbe stata barbarie (…) Rosa e Karl per cui era “meglio sbagliare insieme alle masse che avere ragione lontani da esse”. E per questo parteciparono a una rivolta che sapevano non essere rivoluzione e furono uccisi dai fascisti armati dal governo dei loro ex compagni. Rosa e Karl, la cui tomba fu a lungo l’unico luogo di Berlino che sentivamo nostro”.
Rosa, una donna “troppo donna e non abbastanza compagna di partito”, secondo Bebel. Una donna esperta di geologia, botanica e zoologia che scriveva: “Quando si ha la cattiva abitudine di cercare una gocciolina di veleno in ogni fiore schiuso, si trova, fino alla morte, qualche motivo per lamentarsi. Guarda, quindi, le cose da un angolo diverso e cerca il miele in ogni fiore: troverai sempre qualche motivo di sereno buonumore. (…) Tutte le mattine ispeziono scrupolosamente le gemme di ogni mio arbusto e verifico dove ce ne sono; ogni giorno faccio visita a una coccinella rossa con due puntini neri sul dorso che da una settimana mantengo in vita su un ramo in un batuffolo di calda ovatta nonostante il vento e il freddo; osservo le nuvole, sempre più belle e senza sosta diverse e in fondo io non mi considero più importante di quella piccola coccinella e, piena del senso della mia infima piccolezza, mi sento ineffabilmente felice”.
Perché, in fondo, la rivoluzione è una rosa rossa.