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Il 2 giugno del 1946 in Italia si vota per il referendum istituzionale tra monarchia o Repubblica e per eleggere l’Assemblea costituente (già il decreto luogotenenziale n. 151 del 25 giugno 1944, emanato durante il governo Bonomi, aveva tradotto in norma l’accordo che al termine della guerra fosse indetta una consultazione fra tutta la popolazione per scegliere la forma dello stato ed eleggere un’assemblea costituente). Gli italiani sceglieranno la Repubblica, con 12.718.641 di voti contro i 10.718.502 della monarchia (Umberto di Savoia lascerà l’Italia subito dopo il referendum, pur non riconoscendone la validità e rifiutandone i risultati).
Il voto referendario fotograferà chiaramente un’Italia divisa in due: in tutte le province a nord di Roma, tranne due (Padova e Cuneo), vince la repubblica; in tutte le province del centro e del sud, tranne due (Latina e Trapani), si impone la scelta monarchica. La scelta repubblicana ottiene il risultato più ampio a Trento con l’85 per cento dei consensi e più basso a Napoli con il 79 per cento dei voti in favore della monarchia. Non tutti gli italiani avranno l’opportunità di votare. Non voteranno i militari prigionieri di guerra o internati che lentamente cominciano a ritornare e non voteranno i residenti delle province di Bolzano e Trieste. Per la prima volta a livello nazionale saranno chiamate al voto anche le donne. In base al risultato delle urne, l’Assemblea costituente risulterà così composta: Dc 35,2 per cento, Psi 20,7 per cento, Pci 20,6 per cento, Unione democratica nazionale 6,5 per cento, Uomo qualunque 5,3 per cento, Pri 4,3 per cento, Blocco nazionale delle libertà 2,5 per cento, Pd’A 1,1 per cento.
Le donne elette saranno ventuno: nove del Partito comunista, nove della Democrazia cristiana, due del Partito socialista, una dell’Uomo qualunque. Provenienti da tutta la penisola, in maggioranza sposate (quattordici su ventuno) e con figli, giovani e dotate di titolo di studio (quattordici laureate), molte di loro avevano preso parte alla Resistenza, pagando spesso personalmente e a caro prezzo le loro scelte, come Adele Bei, condannata nel 1934 dal Tribunale speciale a diciotto anni di carcere per attività antifascista, Teresa Noce, messa in carcere e poi deportata, Rita Montagnana.
“La vera novità - diceva qualche anno fa Marisa Rodano - era che di quell’assemblea facevano parte ventuno donne. (…) Alcune erano giovanissime. Teresa Mattei, Nilde Iotti e Angiola Minella avevano poco più di venticinque anni; Filomena Delli Castelli e Nadia Spano - che proveniva dalla Tunisia - ne avevano trenta. La novità non era soltanto che per la prima volta, in Italia, vi erano donne elette in un consesso parlamentare, ma che quelle donne hanno impresso un segno significativo nella Carta fondamentale che sta alla base dell’ordinamento della Repubblica. Di certo, che vi fossero donne in quell’assemblea era, di per sé, un fatto straordinario; coronava decenni e decenni di lotta dei movimenti femminili e femministi e di iniziative nel Parlamento prima del fascismo. Un diritto che venne riconosciuto in extremis nell’ultimo giorno utile per la composizione delle liste elettorali, alla fine del gennaio ‘45, ma che non fu, come taluno sostiene, una benevola concessione, ma il doveroso riconoscimento del contributo determinante che le donne, con le armi in pugno e soprattutto con una diffusa azione di massa, di sostegno alla Resistenza, avevano dato alla liberazione del Paese. Straordinarie erano le elette, pur così diverse per provenienza, esperienza, cultura, patrimonio ideale. Tra quelle della vecchia generazione alcune, come Rita Montagnana, Lina Merlin, Adele Bei, Elettra Pollastrini e Teresa Noce, si autodefinivano - un termine che ad alcuni apparirà desueto - rivoluzionarie di professione. Avevano abbracciato un ideale di trasformazione radicale della società e vi si erano dedicate senza riserve. Avevano compiuto quella che Giorgio Amendola ha chiamato ‘una scelta di vita’. A causa di quella scelta avevano conosciuto carcere e confino o erano state costrette all’esilio (…)”.
L’Assemblea costituente si riunirà per la prima volta il 25 giugno e lavorerà fino al 31 gennaio 1948 (anche se le sue commissioni funzioneranno fino al mese di aprile) per un totale di 375 sedute pubbliche, delle quali 170 dedicate alla Costituzione e 210 ad altre materie. Il 28 giugno Enrico De Nicola viene eletto capo provvisorio dello Stato e si delibera la nomina di una commissione ristretta composta da 75 membri scelti dal presidente sulla base delle designazioni dei vari gruppi parlamentari, cui viene affidato l’incarico di predisporre un progetto di Costituzione da sottoporre al plenum dell’Assemblea. Cinque saranno le donne che entreranno a far parte della Commissione dei 75: Maria Federici (Pci), Angela Gotelli (Dc), Nilde Iotti (Pci), Lina Merlin (Psi) e Teresa Noce (Pci)
Il 31 gennaio 1947, un Comitato di redazione composto di 18 membri, presenterà all’Aula il progetto di Costituzione, diviso in parti, titoli e sezioni. Dal 4 marzo al 20 dicembre 1947 l’Aula discuterà il progetto e il 22 dicembre verrà approvato il testo definitivo. La Costituzione repubblicana sarà promulgata il 27 dicembre 1947 ed entrerà in vigore il 1° gennaio 1948. Dirà di lei sette anni più tardi, il 26 gennaio 1955, Pietro Calamandrei nel salone degli Affreschi della Società umanitaria in occasione dell’inaugurazione di un ciclo di sette conferenze sulla Costituzione italiana organizzato da un gruppo di studenti universitari e medi: “In questa costituzione (…) c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato. Tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie son tutti sfociati in questi articoli. E a sapere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane. Quando io leggo nell’articolo 2, “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, o quando leggo, nell’articolo 11, “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”, la patria italiana in mezzo alle altre patrie, dico: ma questo è Mazzini; o quando io leggo, nell’articolo 8, “tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge”, ma questo è Cavour; quando io leggo, nell’articolo 5, “la Repubblica una e indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali”, ma questo è Cattaneo; o quando, nell’articolo 52, io leggo, a proposito delle forze armate, “l’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica” esercito di popolo, ma questo è Garibaldi; e quando leggo, all’articolo 27, “non è ammessa la pena di morte”, ma questo, o studenti milanesi, è Beccaria. Grandi voci lontane, grandi nomi lontani. Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti (…)"
Calamandrei ricorda: "Quanto sangue e quanto dolore per arrivare a questa Costituzione! Dietro a ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, questo è un testamento, un testamento di centomila morti (…) Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra Costituzione (…)”.
“La Costituzione - diceva qualche anno fa il segretario generale della Cgil Maurizio Landini - non va solo difesa, ma applicata in particolare sui diritti fondamentali a partire dal lavoro, dal diritto alla salute e all’istruzione (…) Io la Costituzione non l’ho studiata nelle scuole - ho cominciato presto a lavorare - ma mi permetto di dire che ho avuto la fortuna di conoscere lavoratori, lavoratrici, delegati sindacali che mi hanno fatto conoscere la Costituzione esercitando quei diritti dentro i luoghi di lavoro e mi permetto anche di ricordare che la Costituzione nata subito dopo la guerra, in realtà per essere applicata nelle fabbriche, ha avuto bisogno di molte lotte e di molte battaglie”.
“Il 2 giugno - diceva lo scorso anno il presidente della Repubblica Sergio Mattarella - è la Festa degli italiani, è il simbolo del ritrovamento della libertà e della democrazia da parte del nostro popolo”. Quest’anno il presidente celebrerà la festa della Repubblica a Codogno, luogo simbolo dell’epidemia, lanciando un messaggio di incoraggiamento per il ritorno alla normalità accompagnato da un doveroso omaggio alle decine di migliaia di vittime del Covid 19. Sarà il suo primo viaggio dall’inizio dell’emergenza, la prima uscita pubblica se si esclude il 25 aprile.