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Appena querelato da Giorgia Meloni, ironia della sorte il professor Luciano Canfora ha da poco pubblicato per le edizioni Dedalo un volume dal titolo Il fascismo non è mai morto (pp. 92, euro 13), una ricostruzione della storia d’Italia più oscura, che in qualche circostanza sembra non essere ancora terminata. Abbiamo chiesto all’autore di commentare alcuni passaggi del suo libro e i più recenti avvenimenti della realtà politica e sociale italiana.
Professor Canfora, non posso che iniziare chiedendole se si sta preparando alla prima udienza di aprile, se il suo ultimo libro la sta aiutando a prepararsi, e se sia rimasto sorpreso dalla querela che le è arrivata dal presidente del Consiglio…
Certo, mi sto preparando. Tutti gli studenti quando devono andare agli esami si preparano. E no, non sono sorpreso. Il fatto che per esempio a Budapest dei manifestanti che si autodefiniscono nazisti intimidiscano persino il tribunale, e noi siamo mi pare nella stessa Unione Europea con l’Ungheria, di cui siamo molto amici, conferma quello che ho sempre pensato e che racconto in questo mio ultimo libro, cioè che il fascismo non è finito nel 1945, né in Italia né altrove.
Lei ha subito preso posizione anche sulla vicenda di Bari, ricordando le prime azioni del Governo Mussolini, indirizzate proprio verso città e comuni “non allineati”.
Come disse un grande filosofo, che si chiama Carlo Marx, la prima volta è tragedia, la seconda è farsa. In questo caso, la farsa rispetto alla tragedia del 1923. D’altronde, la farsa è anche una possibile prolusione teatrale, anzi, l’Italia ha avuto una grande tradizione nel campo della farsa per i teatri di tutta Europa. Rispetto a quanto accade a Bari però è il ridicolo a essere abbastanza debordante, perché mettiamo pure che questa commissione riuscirà a concludere i suoi lavori e suggerirà lo scioglimento del Comune, ma lo farà quando il Comune sarà già sciolto comunque perché si andrà alle elezioni l’8 di giugno. Quindi il ridicolo, come dire, deborda, e a rigore nella vita bisognerebbe temere soprattutto il ridicolo. C’è qualcuno però che non lo teme.
Nel libro si ricostruisce una storia dell’Italia fascista e post fascista. In alcuni passaggi si ricordano vecchi metodi, come i manganelli, riapparsi però a Pisa contro giovani universitari. Lei, che è anche docente emerito presso l’Università di Bari, che idea si è fatto di quest’altra vicenda?
Mi sono ricordato del discorso di Giovanni Gentile, che fu ministro nel primo Governo Mussolini. Il 21 aprile 1924 Gentile, che non era più ministro ma era molto fascista, parlò al Teatro Massimo di Palermo, e fece un discorso in cui disse che il manganello, così come la predica, aiuta lo spirito. Evidentemente questi manganellatori si sono ricordati di Giovanni Gentile.
Mi viene da chiederle anche cosa ha pensato dell’attacco alla Cgil il 9 ottobre 2021.
Che lo squadrismo è una delle articolazioni del fascismo. Hanno fatto di tutto negli anni in cui i carabinieri e la polizia li proteggevano, assaltavano i Comuni socialisti, Bologna, Milano, e i carabinieri li proteggevano. Credo di aver risposto.
Mettendo insieme tutti questi episodi si ha come l’impressione che l’attuale governo, non facendo parte della storia repubblicana sancita dalla Costituzione, non riesca a indossare il vestito che un Paese democratico richiederebbe. Per lei è così?
Non c’è bisogno di congetture, perché mi pare che il presidente del Consiglio attuale, quando si presentò alla Camera e poi al Senato il 25 ottobre 2022, disse più o meno “vengo da una storia ai margini della storia repubblicana”. Tradotto dalla poesia in prosa vuol dire “vengo dal Movimento sociale italiano”, cui peraltro aderiva come militante giovanile; e noi sappiamo che il Movimento sociale italiano, come riporto anche nel libro, si chiamava così perché voleva richiamarsi alla Rsi, la Repubblica sociale italiana, e le persone che lo dirigevano erano le stesse sopravvissute della Repubblica sociale italiana, che a sua volta era uno Stato satellite del Terzo Reich. Quindi siamo completamente fuori da quello che per molti anni fu chiamato “arco costituzionale”, e abbiamo al governo un partito che ha un certo nome, ma che deriva da un altro che si chiamava Alleanza nazionale, che a sua volta era il riciclaggio del Movimento sociale italiano. D’altra parte, la legge elettorale paranoica, il cosiddetto Rosatellum voluto da Renzi, ha agevolato moltissimo una minoranza numerica a diventare grande maggioranza nel Parlamento. In particolare, nella campagna elettorale del 2022, la scelta politica di non fare l’alleanza tra Pd e Movimento Cinquestelle e presentarsi uniti in vari collegi, ha aperto le porte all’attuale maggioranza di governo. Quindi noi dobbiamo criticare naturalmente e liberamente quello che non va in chi ci governa, ma non ci possiamo dimenticare delle colpe gravissime di chi ci ha portato a questo risultato dalla cosiddetta opposizione.
Siamo prossimi alla ricorrenza del 25 aprile, quest’anno sarà anche il centenario dell’omicidio Matteotti. In che modo oggi le varie realtà della nostra società, dal sindacato all’associazionismo, possono organizzarsi per proporre un’alternativa all’attuale situazione politica in Italia?
Credo che un paio di cose elementari siano a portata di mano, se c’è buona volontà. Una è quella di costruire un’alleanza stabile tra le forze di opposizione; l’altra scrivere un programma che non sia alla giornata ma, come fece il compagno Giuseppe Di Vittorio con il Piano del lavoro, costruisca un’alternativa concreta. Se non si fanno queste due cose non si va da nessuna parte.