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Un recente articolo apparso su la Repubblica (5 marzo), ci racconta come stia crescendo il numero delle donne miliardarie nel mondo compresa l'Italia, al punto da ritrovarci in quarta posizione, avendo “16 donne imprenditrici con una fortuna superiore al miliardo di dollari”: ancora lontane dalle ricche signore di Germania, Cina e Stati Uniti, ma in netta ascesa.
In maniera approfondita e analitica di questo e molto altro si occupa il nuovo saggio di Giulio Marcon, portavoce di Sbilanciamoci, dal titolo Se la classe inferiore sapesse. Ricchi e ricchezza in Italia, appena pubblicato dall'editore People (pp.250, euro16). Un libro che cerca di fare luce, riuscendovi, su una materia di non facile indagine, come lo stesso autore rileva da subito. Non è facile perché i ricchi, soprattutto i ricchi italiani, tendono a non parlare “per timidezza, ritrosia, omertà”. In più, i dati disponibili ci dicono quasi tutto sulla povertà, molto poco sulla ricchezza.
Lo studio di Marcon si concentra sulle ricerche di vari istituti, dalla Banca d’Italia all’Istat, dall’Agenzia delle Entrate all’Inps, interpellando anche realtà internazionali quali Eurostat, Ocse, Credit Suisse, Forbes, World Inequality, Database, ma non solo. L’autore spazia nel mondo della cultura, della letteratura in particolare, della sociologia (numerosi i riferimenti alle pubblicazioni di Luciano Gallino), oltre naturalmente a testi di carattere economico, costruendo nel suo insieme una bibliografia essenziale utilissima al lettore. Ciò che ne emerge è un quadro per molti versi sconcertante, in virtù dei dati e dei numeri contenuti. Un esempio: “Il 67,6% della ricchezza in Italia è nelle mani del 20% più ricco, a fronte dello 0,4% di quello più povero. All’interno del 20% più ricco, esiste una crescente concentrazione della ricchezza: il 10% più ricco detiene il 53,6% della ricchezza, il 5% più ricco il 41%, l’1% più ricco il 22% della ricchezza totale”.
Insomma, i ricchi stanno diventando sempre più ricchi, soprattutto dopo l’effetto pandemico, fenomeno ben evidenziato nel secondo degli undici capitoli. Ma come vivono, come si comportano i cosiddetti super-ricchi?: “I super-ricchi vivono ormai in modo crescente in un territorio senza Stato. Vivono a Londra e New York. Hanno il conto bancario a Ginevra. Fanno shopping a Milano e a Parigi. E mettono i loro asset nelle compagnie offshore delle Isole Vergini. I manager di Hsbc potrebbero vedere in ciò i segni di una nuova epoca di diseguaglianza, ma non se ne accorgono. I ricchi “senza Stato” evitano di pagare le tasse nel loro Paese, verso il quale provano ben poca fedeltà. Per cui trovano molto più sensato fare le loro operazioni nei paradisi fiscali e nelle banche svizzere. I super-ricchi stateless (‘senza stato’) ormai sono degli apolidi cosmopoliti”.
In Italia c’è poi un ulteriore elemento che acuisce le diseguaglianze, ed è quello dell’evasione fiscale, di cui abbiamo il poco lodevole primato: “Anche gli italiani fanno la loro parte. Per pagare meno tasse hanno fatto ricorso all’apertura di conti correnti anonimi o criptati per trasferire fondi, spesso soldi guadagnati in nero, non tracciati dal fisco. Altre volte si sono serviti di società anonime, magari fintamente finalizzate ad acquisti immobiliari o ad altre attività economiche. Altre volte ancora i ricchi hanno stabilito fasulle residenze in questi paradisi. Lo hanno fatto molti imprenditori, artisti e sportivi acquistando un’abitazione a Montecarlo o, più spesso, stabilendo la residenza (spesso fantasma) nella città monegasca. Su 37mila abitanti, ben 7mila italiani hanno lì la residenza (il 20%)”.
Analizzando nel cuore del libro anche la differenza tra gli imprenditori di un tempo e quelli di oggi, le loro affinità, la “filantropia” (a cui spesso oggi si preferisce il termine più “orizzontale” di solidarietà) più o meno limpida di miliardari più o meno noti, Marcon ci indica infine quanto siano cambiate le classi sociali rispetto alla struttura novecentesca, e come la ricchezza sia diventata un problema in Italia e nel resto del mondo “perché è concentrata in poche mani, perché è all’origine di grandi diseguaglianze, perché alimenta privilegi e spesso è fondata sui favori, sull’illegalità e l’evasione”.
In appendice, una interessante pars costruens promuove l’iniziativa di Sbilanciamoci denominata “Tax the rich” , una proposta articolata in cinque punti: tassazione delle ricchezze milionarie, delle rendite finanziarie, un’imposta di successione progressiva sulle grandi ricchezze, una tassazione progressiva sui redditi e, in ultimo, sugli speculatori della finanza.
I ricchi, le élite, gli uomini di potere, anche stavolta non saranno d’accordo, perché mettere in atto tali principi vorrebbe dire tentare di combattere quello “scandalo della Storia che dura da diecimila anni”, come scriveva Elsa Morante, ricordata da Goffredi Fofi nella sua passionale prefazione.
La realtà di una ricchezza crescente per i soliti, e sempre più pochi, è dunque il grosso nodo da sciogliere nei suoi aspetti economici, sociali e politici, che riguarda ciascuno di noi. Questo libro spiega bene come, e perché.