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Dopo una pausa di riflessione torna il “Diario di un prof”, per parlare di un tema che con la chiusura delle scuole per le feste natalizie riaffiora ogni volta, coinvolgendo l’intera comunità pedagogica, famiglie comprese: i compiti per le vacanze. Tema che, volendo, può essere esteso all’assegnazione dei compiti quotidiani e settimanali durante il corso dell’anno scolastico, e che da qualche tempo sembra animare la discussione, dopo che alcuni docenti (vedi i recenti interventi delle professoresse Arianna Fioravanti e Isabella Milani su Orizzonte scuola) hanno evidenziato i pro e i contro di un carico eccessivo di compiti per i nostri alunni.
Mi consegno subito: sono uno di quelli che da sempre, prima nei licei, ora nelle medie (sono ancora affezionato alle vecchie terminologie) di compiti ne dà pochi, suscitando spesso le critiche dei colleghi (molti) e i dubbi dei genitori (pochi). Invocando l’articolo 33 della Costituzione italiana sulla libertà d’insegnamento, e la non obbligatorietà di una programmazione didattica da seguire, provo a motivare la scelta.
Per prima cosa, credo molto nell’ora di lezione; nel concreto, penso che durante l’ora di lezione si possa fare molto insistendo su determinati contenuti, e che possa essere un buon metodo cercare di scomporre le ore settimanali a disposizione contemplando anche momenti di lettura collettiva e di vero e proprio studio in classe, così da poter osservare con i propri occhi difficoltà peculiari su cui intervenire, con l’obiettivo di costruire insieme agli studenti un metodo di studio efficace, e per quanto possibile personalizzato.
A questo si aggiunge un diritto fondamentale per ogni minore che frequenti scuole di qualsiasi ordine e grado, a ogni latitudine del mondo, dato che è stato scritto nell’articolo 31 della Convenzione internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ratificata nella sede dell’Onu il 20 novembre del 1989: “Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare attivamente alla vita culturale e artistica”.
Se una volta usciti da scuola si devono fare i compiti tutti i pomeriggi, e ogni fine settimana (ormai anche alle elementari, malgrado il tempo pieno), si dovrà per forza rinunciare a qualcosa d’altro. Le testimonianze in questo senso di genitori e alunni sono innumerevoli.
C’è poi un motivo per me fondamentale, che pesca ancora nella lingua latina già richiamata nel titolo dato a queste righe, e che si rivolge proprio al concetto di vacanza in sé, dato che il termine deriva dal lemma “vacatio”, che tradotto significa “vacanza, riposo, cessazione delle attività”, finanche “ozio”. Se dunque vacanza dev’essere vacanza sia, anche per staccare dalla routine, esigenza riconosciuta ai lavoratori adulti che a maggior ragione dovrebbe esser valida per i figli, anche per coltivare un rapporto famigliare nel resto dell’anno dettato da incastri quotidiani che devono tener conto di impegni e orari reciproci.
Perfettamente consapevole che una proposta del genere è più facile da realizzare per un insegnante di materie letterarie che per docenti di altre discipline, alle mie classi ho lasciato come compiti di Natale un libro da leggere a loro scelta (soprattutto per vedere cosa scelgono), mentre in storia e geografia un argomento che comunque affronteremo insieme alla ripresa di gennaio, in vista delle interrogazioni di fine quadrimestre. Il suggerimento, di nuovo, arriva dai padri della nostra cultura: in medio stat virtus.