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Un padre della Repubblica, un protagonista del Novecento, Pietro Ingrao ha vissuto intensamente cento anni della storia del nostro paese: la lotta partigiana, la guerra, la direzione de l’Unità, il rapporto con l’Urss, la guerra di Corea, Stalin, il 1956 ungherese, il Vietnam e l’autunno caldo, Moro, la crisi della democrazia dei partiti, il 1989 e la crisi dell’idea comunista. La fine del Partito.
“Cara lettrice, caro lettore - scriveva già quasi centenario sul proprio sito - internet non è un mezzo consueto, per chi è nato nel 1915; ma è il mezzo di comunicazione del presente, e ho pensato di usarlo. Sono un figlio dell’ultimo secolo dello scorso millennio: quel Novecento che ha prodotto gli orrori della bomba atomica e dello sterminio di massa, ma anche le speranze e le lotte di liberazione di milioni di esseri umani”. Durante la Resistenza Ingrao lavora fra Milano e la Calabria. Nel 1947 viene nominato direttore de l’Unità.
“L’Unità - raccontava - dai lettori veniva conservata. E si poteva leggere all’alba, ancora assonnati, sul seggiolino di un autobus, oppure a tarda sera, tra un boccone e l’altro della cena prima di andare alla riunione di sezione, o anche a letto, sull’orlo del sonno. Oppure mettere da parte, conservare questo o quel numero, che poi non sarebbe stato letto mai, dimenticato tra i fasci di carte di un armadio: questa natura curiosa di un giornale quotidiano, che durava al di là del giorno”.
È nella veste di direttore del quotidiano del Partito che Ingrao si trova ad affrontare la grande crisi ungherese del 1956. Il 25 ottobre di quell’anno firma un editoriale dal titolo Da una parte della barricata a difesa del socialismo, “l’errore più grande”, dirà nel 2001.
“Il cursus honorum del Pci (la Resistenza la direzione de l’Unità, Botteghe oscure, la Camera dei deputati, di cui sarà, tra il 1976 e il 1979, il primo presidente comunista, il Centro per la riforma dello Stato) - scriveva Paolo Franchi sul Corriere della Sera in occasione del suo centesimo compleanno - Ingrao, amato dalla sua gente assai più che da gran parte dello stato maggiore del partito, dal quale lo ha diviso per sempre la battaglia 'da sinistra' data (e persa) nel 1966, all’undicesimo congresso, lo farà tutto. A quel nome grande e terribile, comunismo, e a quel 'grumo di vissuto' rappresentato dalla vicenda storica dei comunisti italiani, resterà fedele fino e oltre il momento dell’ammainabandiera”.
Nel febbraio 1991, con 807 voti favorevoli, 75 contrari e 49 astenuti, il Partito Comunista italiano, fondato il 21 gennaio 1921, decreta il proprio scioglimento al termine di un percorso avviato nel Comitato centrale del 20 novembre 1989.
“L’emozione rispetto alla sorte del nome ‘comunista’ - scriveva quella sera Ingrao - non è un lamento di ‘reduci’. È un grumo di ‘vissuto’, di esperienza sofferta di milioni di italiani che intorno a questo nome hanno combattuto non solo battaglie di libertà - che sono state condotte anche da altri che io rispetto - ma hanno visto la tutela dei più deboli, come patrimonio sepolto da valorizzare”.
“La scomparsa di Pietro Ingrao - scriveva Macaluso il giorno della sua morte - non mi ha sorpreso, ma ha reso più pesante la mia tristezza. La vecchia famiglia del Pci perde un altro dei suoi figli più generosi e più amati. Oggi ho letto sui giornali tante cose - giuste o sbagliate - sulla sua militanza. Io dico solo una cosa: Ingrao è stato un comunista italiano, un comunista del partito di Togliatti e della via italiana e democratica al socialismo, nel quale convivevano uomini con posizioni diverse ma convergenti sugli obiettivi di fondo e ugualmente impegnati con passione e con l’amore per una politica che guardasse essenzialmente agli interessi del mondo del lavoro e del Paese”.
Nel 2007 il partigiano Guido pubblica Volevo la luna, un testo a cui affida le sue riflessioni sui grandi temi del nostro tempo, la pace, la democrazia, il razzismo, le lotte operaie.
“Quando dico 'volevo la luna' - spiegava - nomino l’esigenza di un salto, prima di tutto nel linguaggio e nelle relazioni. Nella politica è questo che mi coinvolge: nella vita umana le leggi contano, e dunque l’attività legislativa è importante, non può essere sottovalutata. Ma c’è un di più nella politica che è comunicazione, relazione. Una relazione che assume le forme più strane, particolari”. Un testo bello, profondo e poetico, da rileggere con la consapevolezza che, in fondo, la luna, la vogliamo ancora.