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Sin dalle prime righe del suo nuovo saggio Il tirocinio della democrazia (editore “Il margine”, pp. 99, euro 10), Vanessa Roghi ci propone una riflessione su un binomio definito “fantastico”, recuperando l’amato Gianni Rodari, oggetto di ricerca già in altri suoi studi, tra tutti Lezioni di fantastica. Storia di Gianni Rodari, pubblicato da Laterza nel 2020. Questo binomio è composto dalle parole “scuola” e “democrazia”, vocaboli inavvicinabili nel nostro Paese prima del 2 giugno 1946, giorno del Referendum che scelse per l’appunto la democrazia piuttosto che la monarchia, grazie anche e soprattutto al primo voto delle donne nella nostra storia.
Ma come si forma una coscienza democratica, individuale e collettiva? D’istinto, e comunque correttamente, viene da pensare che sia il mondo della scuola quello deputato a costruire un sentire comune in tal senso; eppure, imparare a memoria gli articoli della Costituzione italiana, figlia di quel 2 giugno, potrebbe non bastare. Anzi il tempo, e i tempi che viviamo, ci mostrano con variegati esempi che non basta.
L’autrice chiama allora in causa una serie di figure divenute riferimento di un ipotetico percorso virtuoso, a partire dal filosofo e pedagogista statunitense John Dewey, che agli inizi del Novecento si è interrogato a più riprese sul concetto di “educazione democratica” tentando di fornire qualche risposta, utile anche ai posteri, non tanto sul cosa quanto sul come si insegna, e come evitare quella “tendenza alla competizione” che rischia di divenire in sé esercizio poco democratico, oltre che alimentare una (dis)educazione in termini di formazione dell’individuo, e del suo ruolo all’interno di una comunità.
D’altronde, in Italia abbiamo assistito alla parabola di un Ministero della Pubblica Istruzione trasformato, in meno di vent’anni, in Ministero dell’Istruzione e del Merito; e la sola sostituzione d’aggettivo racconta molto di quanto in questi due decenni sia stato perduto, dissolto, stravolto nella sua essenza.
Chissà cosa ne avrebbero pensato le altre personalità coinvolte in questo libro, a cominciare da don Lorenzo Milani (cfr. un altro volume dell’autrice sempre per Laterza, La lettera sovversiva. Da don Milani a De Mauro, il potere delle parole, 2017), creatore di un altro binomio, “analfabetismo e democrazia”, sul quale bisognerebbe tornare a lavorare dato che, seppur in forme diverse, forme diverse di analfabetismo si ripropongono oggi; oppure Mario Lodi, per chiudere la trilogia a cui Roghi ha dedicato buona parte dei suo studi dell’ultimo decennio (Il passero coraggioso. Cipì, Mario Lodi e la scuola democratica, ancora per Laterza, 2022), e che in questo caso viene chiamato in causa per un nuovo binomio, “didattica e democrazia”, laddove per didattica deve intendersi la domanda che in molti si posero negli anni cinquanta e sessanta, vale a dire come adeguare il proprio modo di insegnare alla “novità” della democrazia.
Tra le incursioni decisive per la costruzione di una scuola democratica nel nostro Paese, di estremo interesse il capitolo dedicato ad Ada Marchesini Gobetti, giovane moglie e giovane vedova di Piero Gobetti con il quale, non ancora maggiorenni, traduceva autori russi e francesi negli anni in cui il fascismo iniziava ad assumere i contorni di una dittatura. Divenuta vicesindaco della Torino liberata, Ada Marchesini Gobetti si concentra sul rapporto tra educazione scolastica e famigliare, prima con la rivista “Educazione democratica”, poi con “Il giornale dei genitori”, convinta che non possa esistere democrazia a scuola se non si educano e non vengano coinvolte anche le famiglie.
Se dunque il sottotitolo di questo minuto quanto prezioso volume recita “Una genealogia per la scuola del presente”, è perché la scuola del nostro presente necessita, urgentemente, di un ennesimo cambiamento, e di un altro aggettivo, orientandosi verso la giusta direzione.