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Pensiamo sia necessario trasformare via via la forza tradizionale dei materiali custoditi dalla Fondazione Aamod in soggetti dinamici, navigatori intelligenti dentro la “plenitudine” in cui si sta plasmando l’intero universo dei segni. In tale contesto, nel quale sconfinano e si miscelano culture alte e culture basse, frammenti di alta complessità e voci fondamentali delle arti popolari, si forgiano attitudini e comportamenti diffusi. Si formano desideri e incubi dell’immaginario.
In tale contesto, al cospetto della dittatura crescente degli algoritmi e nella dirompente retorica dell’intelligenza artificiale, ri-modulare gli archivi - facendoli interagire con la modernità - ci trasferisce verso nuove etiche ed estetiche. In simile declinazione, l’archivio stesso non è un faticoso o ingombrante rumore del passato, bensì una sequenza chiave per restituire senso e sintassi agli sprazzi situazionisti e interstiziali della post-modernità. Che si affastellano in una incosciente velocità futurista, se viene meno una “linea generale”.
Passato, presente, futuro non sono separabili nel flusso ormai indistinto delle comunicazioni. Anzi, proprio il viaggio nei meandri fertili della memoria ci offre opportunità interpretative che la quotidianità addomesticata dei media non ci dà più. In una società del pensiero spesso respinta nelle periferie dei sudditi senza potere e privati persino dei diritti fondamentali, riannodare i fili del discorso è fondamentale. Così ci interpella la Carta costituzionale, tra l’altro.
L’Aamod intende partecipare ad un movimento costituito da quelle centinaia di luoghi omologhi lasciati fuori dalla lampada dei riflettori, ed estranei persino alla redistribuzione delle risorse del Recovery Fund.
Il programma di attività, non per caso, si collega innanzitutto al progetto UnArchive, vale a dire la “dis-archiviazione” tesa a restituirci linguaggi arricchiti, e funzionali a riappropriarsi della realtà, attraverso occhi e sensi affrancati dalla superficialità omologante oggi alla moda. La storia del Premio intitolato a Cesare Zavattini, giunto alla quinta edizione, corre proprio nel solco accennato: generazioni giovani alle prese con la ri-costruzione dei linguaggi mediante i materiali polisemici dell’Archivio. Attraverso il remix, modalità utilizzata ormai normalmente dal cinema-cinema e dalle fiction. Si tratta di forme e di modelli di ibridazione, dove il prodotto è qualcosa di inedito: a-temporale e a-spaziale, permanente e obliquo, come impone la grammatica dell’età numerica.
Di qui, l’esperienza straordinaria delle residenze artistiche, vero oratorio di spiriti creativi lontani dall’obbligato spirito del tempo. Per un nuovo senso comune, in grado di rompere l’ossessivo mainstream dominante. E va aggiunta la consueta “Aperossa”, il nostro storico brand, che ci rinvia ai “Cineocchi” di Dziga Vertov e alle migliori esperienze del cinema nelle piazze o nei quartieri. Con qualche tocco pacificamente “eversivo”.
Partecipiamo – come cornice generale - al progetto internazionale Archive Valley, volto a democratizzare il consumo culturale nelle laicizzate istituzioni archivistiche. Continua, pure, il ciclo delle proiezioni del CineAAmod, con le modalità permesse dalla pandemia. E sì, perché la fruizione chiude il cerchio dell’economia circolare della cultura.
L’Archivio del 2021 è un istmo, un ponte di passaggio: una connessione con un universo crossmediale, che incombe senza tregua.
Vincenzo Vita è presidente dell'Aamod