L’attivista palestinese Basel Adra ha filmato la distruzione della sua comunità, Masafer Yatta, per oltre cinque anni per mano dell’occupante israeliano: è qui che ha stretto una particolare alleanza con un giornalista proveniente proprio da Israele, che ha deciso di unirsi alla sua lotta. Questo il congegno alla base di No Other Land, il film a cura di un collettivo di registi nelle sale italiane dallo scorso 16 gennaio.

Un piccolo film, in teoria, che però ha iniziato a espandersi per passaparola e ha conquistato sempre più spazi cinematografici, fino a ottenere addirittura la candidatura all’Oscar come Miglior documentario. Perché è un film esattamente “in tempo”, cioè un’opera che serviva oggi, mentre abbiamo negli occhi la devastazione nella Striscia di Gaza e vecchi nuovi avvoltoi – Trump, Musk – si aggirano sul mondo in fiamme. Ma andiamo con ordine.

In primo luogo va reso merito ai quattro registi e registe che insieme hanno realizzato l’opera: Basel Adra è avvocato, giornalista e cineasta palestinese originario, appunto, di Masafer Yatta. È attivista e documentarista dall’età di 15 anni, impegnato nella lotta contro l'espulsione di massa della comunità da parte di Israele in Cisgiordania. Rachel Szor è direttrice della fotografia, montatrice e regista israeliana originaria di Gerusalemme.

Hamdan Ballal è fotografo, regista e contadino palestinese di Susya, che ha lavorato come ricercatore per molti gruppi per i diritti umani contro l'occupazione. Yuval Abraham è un regista e giornalista investigativo israeliano originario di Gerusalemme. Come si vede, talenti palestinesi e israeliani si sono uniti per uno scopo comune: comporre questo film e farcelo vedere.

E poi, naturalmente, c’è la storia. Basel, giovane attivista di Masafer, piccolo insediamento rurale in Cisgiordania, si batte contro l'espulsione di massa dell’esercito israeliano, una tragedia quotidiana cui assiste sin dall'infanzia. Basel inizia quindi a documentare con la videocamera di casa la progressiva cancellazione di quel luogo; registra ogni volta che arrivano carri armati e ruspe inviate dallo Stato di Israele e vengono distrutte abitazioni domestiche, insieme ai presidi sociali considerati abusivi. Senza mezzi termini: si tratta del maggiore atto di sfollamento forzato mai realizzato in Cisgiordania.

Fin qui No Other Land sarebbe una storia forte di denuncia, un grido di dolore e allarme, ma è molto di più e altro. Basel Adra infatti incrocia la strada di Yuval Abraham, un giovane cronista israeliano che si unisce alla battaglia: è così che per oltre mezzo decennio fanno fronte comune contro l'espulsione, collaborano cinematograficamente alla registrazione di quanto avviene giorno per giorno. Nel corso del rapporto lavorativo e umano emerge anche un divario, inevitabile, un gap tra loro che non si colma: l’uno vive da sempre sotto le bombe, l’altro conduce un’esistenza serena sul suolo israeliano.

Nasce così un rapporto di amicizia, mentre il collettivo palestinese-israeliano costruisce il film attorno a loro, che ovviamente sono in scena. Quanto a ciò che si vede nel documentario, inutile dire troppo perché è auto-evidente: donne e bambini estromessi dalle loro case, disabili che muoiono di stenti, distruzione sistematica di ogni strumento di lavoro, colate di cemento nei pozzi d’acqua, ogni possibile protesta repressa con la forza.

Interpellati sul senso del loro film, gli autori così rispondono: “Possiamo solo gridare qualcosa di radicalmente diverso. Il film, nel suo nucleo, è una proposta per un modo alternativo in cui israeliani e palestinesi possono vivere in questa terra, non come oppressore e oppresso, ma in piena uguaglianza”.

L’operazione portata avanti con No Other Land ricorda, slittando sulla letteratura, il romanzo Apeirogon di Colum McCann tratto da una storia vera: qui un padre palestinese e un padre israeliano, dopo la morte dei rispettivi figli, iniziano paradossalmente a operare insieme per spezzare la catena della violenza. O almeno provarci. Una goccia nel mare, certo, ma il mare è fatto di gocce.

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