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Ninni Bruschetta, attore, regista e sceneggiatore, è tra gli interpreti più sinceri, diretti e autentici del cinema e del teatro italiani. L'artista messinese è sempre stato un osservatore attento e acuto del mondo dello spettacolo e del mestiere di recitare, che ha raccontato con ironia e disincanto anche nel suo libro "Manuale di sopravvivenza dell'attore non protagonista". La pandemia ha segnato profondamente il mondo dello spettacolo, con conseguenze a lungo termine che incideranno anche sulle prossime stagioni. Dal 15 giugno scorso, i sipari sono tornati ad alzarsi, ma non per tutti, e tanti nodi sono ancora al pettine. Il presente, per questo settore, è difficile. E il futuro, vista la recrudescenza del virus, è sempre più incerto.
Ninni Bruschetta, che teatro sarà quello post-Covid?
Io ho già debuttato dopo il lockdown, purtroppo non dopo il Covid, che non è ancora finito. Si sente che il pubblico ha voglia di stare in teatro. Nonostante il distanziamento sociale, la sala al festival di Todi sembrava stracolma, grazie all’entusiasmo degli spettatori. Quello che succederà dopo dipende da molte cose. Potrebbe essere un disastro, se le istituzioni non capiscono che il danno che sta subendo il teatro riguarda il mercato e non le strutture. Venendo meno le presenze sta crollando il teatro privato che è il cuore pulsante del nostro settore. Se lo Stato continuerà a sostenere i teatri pubblici con fiumi di denaro non rimarrà nulla. Sarebbe molto interessante, invece, se questa drammatica vicenda servisse per rimettere in discussione tutta la realtà teatrale italiana. Una realtà che, come dicevo prima, si fonda sull’attività privata ma che viene falsata dai teatri stabili.
Gli attori in Italia, a parte una minoranza, sono pagati molto poco. Per quale motivo, secondo lei?
Mi permetta una precisazione: gli attori sono pagati male. Una volta esisteva una distanza eccessiva tra le paghe dei protagonisti e tutte le altre, oggi è peggio, perché si sono abbassate tutte le paghe. E anche questa stortura proviene dai teatri pubblici, perché i teatri pubblici scrivono i loro bilanci dimenticandosi che la loro finalità sia proprio il teatro. Più del 90% delle risorse vengono spese per mantenere le strutture, per pagare indennizzi, stipendi da manager, impiegati in sovrannumero, falsi straordinari, eccetera, eccetera. Per il teatro e per chi fa teatro non rimane nulla. È una perversione tutta italiana. Una specie di folle ingordigia della burocrazia che domina questo paese morente.
Le riaperture del 15 giugno scorso hanno interessato solo una piccola parte di professionisti. E' stato giusto ripartire o si sarebbe dovuto farlo diversamente?
Ripartire è sempre giusto, secondo me. Fare, agire, essere è il dettato shakespeariano che sostiene il nostro lavoro. Ben vengano le riaperture. Sembra evidente che i teatri, soprattutto con un minimo distanziamento, sono luoghi sicurissimi: gli spettatori sono distanti, con la mascherina, stanno fermi e non parlano. Non si vede il pericolo di assembramento. Credo che bisognerebbe consentire a tutti i teatri di riaprire utilizzando almeno il 50% dei posti. Subito.
Che cosa ne pensa del teatro in streaming e delle iniziative analoghe per "sopperire", prima, alle chiusure e, dopo, alla limitazione dei posti?
Il teatro in streaming è una contraddizione in termini. Persino la dizione ministeriale parla di “spettacolo dal vivo”. Il racconto teatrale è rituale e richiede la presenza umana. Il teatro in streaming finisce per confrontarsi con il cinema, la televisione e tutti i nuovi linguaggi virtuali, uscendone palesemente sconfitto. Trovo scandaloso che anche in questo frangente certi teatri stabili abbiano sprecato, o elargito, denaro per iniziative di bassissimo livello. Bisognerebbe vietarlo!