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Sono molti gli spunti che propone la lettura di questo romanzo dal titolo Nina sull’argine (minimum fax, pp. 219, euro 16), per la storia che racconta e per il modo in cui sceglie di farlo.
La protagonista è Caterina, una donna che dopo brillanti studi in ingegneria viene chiamata a mettere alla prova le sue conoscenze, confrontandosi con la sua prima vera esperienza sul campo in un cantiere del profondo Nord italiano, dato che la società per cui lavora viene travolta dall’ennesimo scandalo condito da lavori iniziati e mai finiti, carte false, centinaia di migliaia di euro da giustificare, scambi di immobili e di favori, portandosi via le figure maschili di riferimento, “i pezzi migliori”, quelli scaltri e con il pelo sullo stomaco, come la peggior tradizione del mestiere richiede. Niente di nuovo.
Caterina si trova così a dirigere il cantiere adibito alla costruzione dell’argine di Spina avvolta tra le nebbie e il freddo della pianura padana e circondata di soli uomini, che la accolgono con una certa quanto inevitabile diffidenza, figlia del pregiudizio dominante in questi ambienti nei confronti di figure femminili con incarichi decisionali; farsi spazio e farsi rispettare nel suo ruolo di ingegnere responsabile per Nina non sarà facile.
Sin dai primi giorni, giorni di agosto, mese durante il quale mai dovrebbe prendere avvio l’attività di un cantiere, la protagonista alterna sensazioni di vago entusiasmo per l’avventura intrapresa a periodi di vero e proprio spaesamento. E quando è lo sconforto a prendere il sopravvento neanche la vita privata aiuta, anzi: la rottura di un rapporto sentimentale importante con Pietro arriva, come spesso accade, nel momento meno opportuno.
Con il passare dei mesi il lavoro si intensifica, pur con tutte le problematiche del caso, scavando non soltanto dove il cantiere richiede, ma anche nel profondo del proprio animo e mettendosi in ascolto delle esistenze altrui, da quella dell’architetto Lovecchio al geometra Bernini, il tipico uomo tuttofare, colui il quale misura e controlla quotidianamente i ritmi e i numeri degli operai, le loro richieste, ciò che occorre e ciò che manca, l’avanzamento e lo stallo.
Oltre loro bisogna fare i conti anche con il signor Musso, il rappresentante dei cittadini che temono e ostacolano la realizzazione dell’argine per motivi ambientali e paesaggistici: tra questi la vedova Bola, rimasta sola e sempre pronta a offrire un caffè a Nina durante alcune visite di cortesia per convincerla a cedere il passo, che nel corso del tempo si rivelano un rituale piacevole, una sorta di approdo temporaneo, utile a distaccarsi per qualche ora dal vortice entro il quale è costretta ogni giorno a muoversi.
Nella costruzione del romanzo, ricamata con abilità letteraria dall’autrice, trova posto anche Antonio, personaggio visibile solo nell’ombra e nella solitudine, operaio di lunga esperienza che nell’economia della storia diviene la personificazione, seppur eterea, di molti dei problemi che possono trovarsi in determinati luoghi di lavoro, a partire dal mancato rispetto dei diritti degli stessi lavoratori.
L’autrice è Veronica Galletta, di professione ingegnere, che già con il precedente Le isole di Norman (Italo Svevo edizioni, 2020) aveva ricevuto il prestigioso riconoscimento da parte della giuria del Premio Campiello come “Opera Prima”. Ora questo suo nuovo libro la colloca nell’alveo di quella tradizione narrativa definitiva come “letteratura sul lavoro”, o letteratura industriale, di cui alcuni maestri italiani del secolo scorso, presumibilmente non per caso, vengono ricordati verso l’epilogo, quando Caterina trova modo di passare in libreria:
"Fra gli scaffali non c’è nessuno. Ha tutto il tempo per sfogliare con calma quello che le interessa. Prende una nuova edizione di Memoriale di Volponi, sfoglia La chiave a stella. La speculazione edilizia, ecco cosa vorrebbe rileggere. O forse sarebbe meglio Il giro di vite".
Oltre Henry James, ricordato con la sua novella migliore per ricondurci ai vuoti e agli sconosciuti abissi dell’animo umano, tra Volponi e Calvino viene inserito Primo Levi, con l’opera che gli valse il Premio Strega nel 1979, per l’appunto La chiave a stella. Quello stesso Premio Strega che tra qualche giorno comunicherà la dozzina di quest’anno, nella quale potremmo ritrovare proprio Nina, alle prese con l’argine del lavoro, con l’argine della vita.