Carlo Albé, attore e autore da sempre attento nei suoi spettacoli ad affrontare le tematiche legate al mondo del lavoro, debutterà sabato 7 maggio a Milano con lo spettacolo "Nati senza camicia", che parte dalla figura di Giuseppe Di Vittorio per approdare al sindacato di oggi. Il 13 maggio sarà a Carpi, il 26 a Treviso e il 28 a Osimo. Sul palco lo accompagna il musicista Anthony Valentino.
Albé, perché ha deciso di raccontare la storia di un sindacalista quarantenne, cos'è che la affascina di più di questo mondo e di questa "missione"?
In questi anni ho conosciuto decine e decine di sindacalisti, dal freddo Nord fino all'estremo Sud. Alcuni di loro mi hanno colpito per la capacità di tenere alti ritmi lavorativi, per la loro disponibilità nei confronti del lavoratore a qualsiasi ora del giorno, per la loro propensione a organizzare eventi culturali. Nel copione ho riversato le caratteristiche migliori di alcuni sindacalisti e sindacaliste che poi, con gli anni, sono entrati a far parte della mia sfera personale. Collaboro da anni con la Cgil, ma ho sempre pensato che fosse triste ridurre tutto a una semplice esperienza lavorativa. Mi piace creare rapporti, non sempre ci riesco, ma sempre ci provo.
Mario rivive sulla scena anche la storia del padre del sindacato, quello che molti chiamavano, non a caso, papà Di Vittorio. Una figura che forse molti giovani ancora non conoscono. Cosa resta di quel modo di fare sindacato oggi? E nel "suo" Mario?
Mario è un sindacalista alle prime armi che decide di raccontare al pubblico e ai lavoratori la storia di Giuseppe Di Vittorio, lui ha poco del leader meridionale dall'eloquio imponente. É semplicemente un giovane uomo che vuole dare una mano. Il sindacato è cambiato, non poteva essere altrimenti: oggi è più diplomatico, si è abituato a discutere con una controparte che 40 anni fa veniva vista come fumo negli occhi, ma questo lo valuto positivamente. É un segno d'intelligenza. A volte la Cgil si attira critiche sulle quali non sono d'accordo: un po' come Mario, nello spettacolo: anche lui parla dei soliti cliché ai quali sono sottoposti i sindacalisti. É un'ironia amara, ma vera.
Che tipo di lavoro ha fatto per costruire lo spettacolo, tra storia e attualità?
Ho lavorato sul copione grazie al materiale inviatomi dalla Fondazione Di Vittorio (che ha anche patrocinato lo spettacolo). Ho studiato a fondo la vita di Di Vittorio estrapolando determinate fasi, collegandole poi alle storie di lavoratori che ho conosciuto. Il mio obiettivo è sempre stato quello di collegare il passato al presente, riannodarlo su un unico filo.
Oggi i sindacalisti e il sindacato sono oggetto di attacchi feroci quasi quotidiani. Pensiamo all'assalto dello scorso 9 ottobre, o alle recenti scritte minacciose nell'ufficio di una delegata a Siena. Che idea si è fatto delle ragioni di tutto quest'odio?
Molto spesso si punta il dito sul sindacato, pensando che possa risolvere tutto con un semplice sciopero o manifestazione, ma non è così. Forse "la partita" con lo Stato era più aperta anni fa, quando parte dei lavoratori era diversa. Quando il sindacato era visto dai lavoratori come un braccio politico a cui ancorarsi. Ora una parte di loro, come ben sappiamo, ha preferito votare la destra. É un segno dei tempi, va combattuto con la forza delle idee, ma non credo bastino le parole: ci vuole una nuova stagione politica, sarebbe però pretestuoso pensare che quest'azione possa partire dal sindacato, che di per sé fa già molto. Quando c'è stato l'assalto di Roma, ero in costante contatto con diversi segretari: io non sono un sindacalista, ma ho percepito nelle loro parole un fiume di dolore. Quella è casa loro. E il fascismo e gli attacchi squadristi, frutto di violenza e ignoranza, vanno condannati, puniti, sempre, perché anche la libertà di espressione ha un limite e non deve certo far rima con violenza e devastazione.
Il protagonista Mario si interroga sul senso che la "questione meridionale" ha ancora oggi. Una "questione" di fatto mai risolta. E allora viene in mente De Crescenzo, quando scrive che si è sempre meridionali di qualcun altro. I Nati senza camicia, ieri braccianti e operai, oggi sono forse le centinaia di migliaia di working poor per cui il lavoro è una continua guerra tra poveri.
Purtroppo sono d'accordo, anche perché per molti anni ho lavorato in un call center. Poi ho deciso di rischiare, di mollare e provare con la scrittura e il teatro. Non so se i fatti mi stiano dando ragione, in verità non l'ho ancora capito, ma nello spettacolo tendo a far emergere questo "cambio della guardia" che è solo temporale, dato che tutto il resto è rimasto simile. I poveri di ieri sono i precari di oggi, che battagliano tra di loro per mille euro al mese. "Mondo era, mondo è, mondo sarà", si diceva ai tempi di Giuseppe Di Vittorio. Letta oggi, quella frase pare un anatema.
Lei percorre spesso la strada artistica del teatro-canzone. In questo spettacolo é accompagnato da Anthony Valentino alla chitarra. A chi si ispira soprattutto?
Anthony è un chitarrista e un compositore, gli ho chiesto un suono folk e lui come sempre mi ha accontentato, è veramente abile con le corde. Per quanto mi riguarda, vado da molti anni a teatro, ma se devo essere sincero non mi sono mai ispirato a nessuno. Sto solo cercando di tracciare un percorso personale, umano e artistico, spaziando da un argomento all'altro senza dimenticare da dove vengo. Il mio obiettivo è creare "fastidio" nella mente delle persone, creare discussioni. Spero vivamente che questo progetto teatrale venga ben accolto dal mondo Cgil, che si passi dalle pacche sulle spalle ai fatti. È un progetto che viene dal basso, da un lavoratore che ha studiato per un anno. Penso possa bastare come garanzia, no?