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Il 7 novembre del 1867 nasce a Varsavia Marie Curie, unica donna tra i quattro vincitori di due Nobel, la sola ad aver vinto il Premio in due distinti campi scientifici, la prima donna a laurearsi in Scienze alla Sorbona, la prima ad avere il Dottorato in Scienze in Francia, la prima a essere sepolta nel Pantheon degli Uomini illustri, e del resto l’unica. Troppo per una donna, straniera per giunta, nella Francia dei primi del secolo scorso. Troppi successi, troppa libertà, troppo clamore. E così Marie viene colpita, come tante prima e dopo di lei. E viene colpita nel suo privato, messa alla berlina da quella stampa misogina ed antisemita già protagonista dell’affare Dreyfus.
Marie Curie, a quarantadue anni e dopo quattro di vedovanza, si innamora di un uomo sposato, Paul Langevin, fisico, anche lui sepolto nel Pantheon degli Uomini illustri. “I fuochi del radio che vengono emessi così misteriosamente - scriverà Le Journal - hanno acceso una fiamma nel cuore di uno degli scienziati che li studiano con tanta devozione; la moglie e i figli di questo scienziato sono in lacrime (…)”.
È l’iniziò di una vera e propria campagna contro di lei, descritta come una donna dedita a occupazioni tipicamente maschili (“libri, laboratorio, gloria”) in una “Francia stretta nella morsa di una banda di luridi stranieri che la saccheggiano, la macchiano, la disonorano”, una “perfida straniera, colpevole di aver distrutto una famiglia felice”.
Le polemiche erano in realtà già iniziate nel gennaio precedente a proposito della sua candidatura all’Accademia delle scienze di cui il marito aveva fatto parte. I quotidiani clericali, monarchici e nazionalisti attaccano "la straniera" che aspira a una poltrona riservata a maschi eccelsi e francesi veri. Se passa una donna “il rivolo diverrà un torrente e porterà via anche gli argini”, scrive L’Intransigeant che consiglia a "Madame Curie" di ritirare la propria quella candidatura. Lei non lo fa, e lo paga a caro prezzo.
Le accademie riunite votano a maggioranza l’inammissibilità di una donna, tanto più una già accolta dell’accademia delle scienze svedese, russa, ceca, polacca e americana. Per la stampa che otto anni prima l’aveva descritta come una madre devota e solerte aiutante di Pierre, l’esemplare e severa Madame Curie diventa la ‘veuve Sklodowska’, ‘la polacca’. Le sue lettere d’amore vengono rese pubbliche e la scienziata è lapidata sull’altare del perbenismo.
Intanto, però, vince il suo secondo Nobel, ma Stoccolma le scrivono consigliandole di non andare a ritirarlo per non suscitare altre chiacchiere, precisando che “se l’Accademia avesse ritenuto che quelle lettere potevano essere autentiche, è molto probabile che non le avrebbe concesso il premio”.
“Mi sembra che costituirebbe un grave errore da parte mia l’azione che lei mi raccomanda - risponderà la scienziata a Svante Arrhenius - In realtà il premio è stato concesso per la scoperta del radio e del polonio. Credo che non ci sia nessuna connessione fra il mio lavoro scientifico e i fatti della mia vita privata. Non posso accettare, per principio, l’idea che l’apprezzamento del valore del lavoro scientifico possa essere influenzato dai libelli e della calunnie sulla vita privata. Sono convinta che molte persone condividano questa opinione. Mi intristisce profondamente che lei non sia fra quelle”.
Tra le persone che condividono la posizione di Marie, Albert Einstein che le scrive da Praga: “Stimatissima signora Curie non rida di me se Le scrivo senza avere nulla di ragionevole da dire, ma sono talmente in collera per le maniere indecenti con cui il pubblico si sta ultimamente interessando a Lei, da sentire di dovere assolutamente dare sfogo a questo mio sentimento. Ad ogni modo, sono convinto che Lei coerentemente disprezzi questa gentaglia, sia che questa elargisca ossequiosamente stima nei suoi confronti sia che tenti di soddisfare il proprio appetito per il sensazionalismo! Mi sento spinto a dirle quanto io sia arrivato ad ammirare il suo ingegno, la sua energia e la sua onestà, e che mi sento fortunato ad aver avuto la possibilità di conoscerla di persona a Bruxelles. Chiunque non appartenga a questa schiera di rettili è certamente felice, ora e anche prima, del fatto che abbiamo tra noi persone come Lei, e anche come Langevin, persone reali rispetto alle quali si prova il privilegio di essere in contatto. Se la gentaglia dovesse continuare a occuparsi di lei, non legga quelle fesserie ma piuttosto le lasci ai rettili per cui sono state prodotte”.
Naturalmente nessuno condannerà Paul Langevin o gli chiederà di lasciare il paese. “Il peccato di Marie - affermava Barbara Goldsmith nella sua biografia - era soprattutto quello di non essere solo un’amante ma una donna emancipata, quando donne del genere erano considerate, da entrambi i sessi, una minaccia”. Del resto, non è una novità, “l’umanità ha sempre avuto paura delle donne che volano, siano esse streghe o siano esse libere”.