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Prima donna nella storia della Repubblica ad avere la propria effige stampata su moneta o raffigurata su francobolli, Maria Montessori ha dedicato la propria vita ai bambini. Il suo metodo d'insegnamento si basa principalmente su un assunto: l’allievo deve essere libero di sperimentare per conto proprio, perché solamente attraverso la libertà si possono favorire la creatività e altre doti presenti in natura.
L’insegnante deve essere solo il mediatore che favorisce la voglia di fare, innata nel bambino; deve saper osservare, scegliere il materiale adatto e saper tacere al momento giusto. Ma Maria Montessori è stata più che una pedagogista ispirata. C’è una Montessori che potremmo definire "sociale’" probabilmente meno nota e proprio per questo interessante da conoscere e far conoscere.
Il 6 gennaio del 1907 viene inaugurata, in Via dei Marsi 58, nel quartiere di San Lorenzo a Roma, la sua prima Casa dei bambini. Il 7 aprile dello stesso anno, apre le porte della seconda “casa”.
Diceva in quell'occasione l’educatrice:
Può darsi che la vita dei poveri sia una cosa, che qualcuno di voi, qui presente, non abbia mai considerato in tutta la sua degradazione. Può darsi che abbiate sentito la miseria della estrema povertà umana soltanto attraverso le pagine di qualche grande libro, o la vibrante voce di un grande attore. Supponiamo che in un certo momento una voce vi gridi: - Và e guarda queste case di miseria e della nera povertà. Poiché esse sono sorte, fra il terrore e le sofferenze, oasi di felicità, di nettezza e di pace. I poveri avranno una casa propria. Nei quartieri dove regnavano la povertà e il vizio si sta svolgendo un’opera di redenzione morale; le coscienze del popolo saranno redente dal torpore del vizio, dalle ombre dell’ignoranza. Anche i piccoli hanno la loro casa (…) Il caso è nuovo anche per l’organizzazione pedagogica della “Casa dei bambini”. Essa non è un ricovero passivo dei fanciulli: ma una vera scuola di educazione, i cui metodi sono ispirati ai razionali principi della pedagogia scientifica. Viene seguito e diretto lo sviluppo fisico dei bambini, che sono studiati nel loro lato antropologico; gli esercizi del linguaggio, dei sensi e della vita pratica formano le basi principali delle cognizioni. L’insegnamento è eminentemente oggettivo, e dispone di una ricchezza non comune di materiale didattico (…) Poiché l’uomo non è solo un prodotto biologico, ma anche un prodotto sociale (…). Quando si entri in una di queste abitazioni ciò che colpisce è il buio, che non fa distinguere di pieno mezzogiorno un particolare della stanza. Quando parliamo di questioni sociali, vagando nelle nuvole della nostra fantasia, senza prepararci con una osservazione positiva della realtà delle cose e discutiamo se i bambini delle scuole debbono o no studiare e fare i compiti a casa, immaginiamo che il più povero possa forse scrivere in terra accanto a un pagliericcio; e vogliamo fondare biblioteche circolanti perché i poveri leggano in casa, e vogliamo stampare opuscoli di propaganda igienica e educativa per diffonderli come lettura domestica tra le genti più povere, noi ci mostriamo profondamente incoscienti dei loro bisogni. Molti di essi non hanno luce per leggere. C’è per questo proletariato un problema profondo prima di quello della elevazione intellettuale: il problema della vita. Qui pei fanciulli che nascono bisogna mutare la frase consueta: essi non vengono alla luce, vengono alle tenebre, e crescono tra le tenebre e i veleni dell’agglomeramento umano.
“Io effettivamente non sono - diceva riportando la sua personale esperienza Giuseppe Di Vittorio al secondo Congresso nazionale della cultura popolare - e non ho mai preteso, non pretendo di essere un uomo rappresentativo della cultura popolare o non popolare. Però sono rappresentativo di qualche cosa. E di che cosa sono rappresentativo? Io credo di essere rappresentativo di quegli strati profondi delle masse popolari più umili e più povere del nostro paese… quelle masse cioè alle quali le strutture sociali ingiuste ed inumane della nostra società negano la possibilità non solo della cultura, ma anche dell’istruzione elementare, e che ciò malgrado, però, vogliono, si sforzano di studiare e cercano di raggiungere quel grado che le loro capacità, le loro possibilità permettono di raggiungere, grado modesto ma che apre però la strada a nuovi e travolgenti progressi. Di questi strati delle masse popolari umili e povere io sono rappresentativo; di queste masse popolari a cui le classi dirigenti e sfruttatrici negano non soltanto ogni gioia ma anche il bene, la luce del sapere e che per merito proprio, per sforzi propri, vincono le tenebre dell’ignoranza, e si pongono alla testa del progresso, alla testa di ogni moto che porti avanti la nostra società, porti avanti tutta la società umana. Di questo io sono proprio rappresentativo”.
Per questo noi continueremo a lottare.