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Si è già detto e scritto molto riguardo quanto accaduto a Pisa venerdì scorso, anche se alcuni elementi emersi nelle ore successive forse possono suggerire qualche riflessione in più, in particolare sul rapporto generazionale tra studenti e autorità, siano esse scolastiche o istituzionali.
Viene da chiedersi se saremmo qui a discutere ancora dei manganelli dei poliziotti se non fosse intervenuto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il passaggio nelle dichiarazioni del capo dello Stato che coinvolge noi tutti nello specifico è questo: “L’autorevolezza delle forze dell’ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni”. Sembra un’affermazione scontata, ma se la prima carica dello Stato si è sentita in dovere di doverla pronunciare evidentemente scontata non è.
Tralasciando considerazioni di carattere prettamente politico, ovvero l’importanza di un presidente a guardia dei diritti costituzionali in un periodo in cui il vento del premierato soffia sempre più forte, qui siamo chiamati in causa tutti, o almeno tutti coloro che hanno un ruolo nella formazione e la crescita delle nuove generazioni nel nostro Paese, dunque genitori, insegnanti e, non ultime, le stesse forze dell’ordine.
Mettetevi nei panni di un docente che in questi giorni venga coinvolto dalla sua classe ad affrontare il tema. Alla luce di alcune immagini (impressionante quella dell’agente pronto a picchiare con il ghigno sulle labbra) e di certe dichiarazioni volte a distorcere la realtà, tra cui quella della difesa di “obiettivi sensibili” ben lontani dal luogo degli scontri, non è facile riuscire a trovare un punto d’intesa durante la discussione, nel tentativo di ribadire comunque il ruolo svolto da polizia e carabinieri, giorno e notte, per tutelare i nostri diritti e la nostra sicurezza con uno stipendio che ricorda, per l’appunto, quello dei professori.
Non è facile nemmeno, in questa situazione, continuare a insistere sull’apprendimento degli articoli della nostra Costituzione (il 21 ad esempio) e tenere lezioni di educazione civica in merito al rispetto dei ruoli, e il rispetto degli altri: come insegnante, come dipendente pubblico, non vi nascondo che la nostra posizione in questi giorni sia un po’ scomoda.
Il fatto è che, ricorrendo al manganello libero in un contesto quale la manifestazione di Pisa, composta da qualche decina di studenti disarmati e a volto scoperto, non sono soltanto i giovani presenti e picchiati a perdere fiducia nelle istituzioni, ma buona parte di una generazione intera; e ricucire un rapporto di fiducia dopo uno strappo di questo tipo è veramente impresa ardua. Lo sappiamo già, lo abbiamo vissuto più di vent’anni fa al G8 di Genova, con l’aggravante che in questo caso non c’era nessun infiltrato, nessun black-block incappucciato, né una moltitudine da arginare. E nessuna zona rossa da difendere.
Sarebbe grave far passare come “normale” una reazione del genere, perché vorrebbe dire sdoganare un messaggio che contempla le parole “violenza” e “repressione” come appartenenti a un linguaggio oramai ordinario con il quale imparare a prendere confidenza, a cui abituarsi, laddove “dialogo” ed “esempio” dovrebbero essere i vocaboli su cui lavorare e confrontarsi tra generazioni. Anche in piazza.
Nel mio piccolo, in questi giorni a scuola insisterò nel dire che non tutti i poliziotti sono uguali, e che la grande maggioranza di loro ci aiuta a vivere meglio.
Un codice identificativo per le forze dell’ordine, invocato dai tempi di Genova (per non tornare troppo indietro nel tempo), in questo senso renderebbe il lavoro enormemente più agevole. Per tutti.