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Una tempesta, meteorologica ed emotiva. Una donna che attende il rientro a casa del marito. Un uomo in bilico, nel porto di Taranto, in cima ad una gru, che dà il titolo allo spettacolo scritto da Luisa Campatelli, per la regia di Alfredo Traverso, e interpretato da Tiziana Risolo. Il testo ha debuttato nel 2023 al teatro Fusco di Taranto in occasione della Giornata sulla Sicurezza organizzata da Formare Puglia e Comune di Taranto. Laura Campitelli è autrice, giornalista, formatrice.
La Gru è un viaggio intimo nei ricordi della protagonista, in attesa del suo compagno, che viene travolto a centinaia di metri d’altezza dalla foga del vento e che non tornerà. Il tema del non ritorno è un topos fortemente letterario, che purtroppo tesse il filo di tutte le morti sul lavoro.
Proprio questa è la suggestione che ho voluto creare attraverso questo testo che nasce come un racconto e poi è diventata una performance teatrale di grande impatto. La trama si sviluppa proprio a partire dal tema dell'attesa, è la storia di un'attesa, quella di una donna. La protagonista è la moglie di un gruista dell'llva di Taranto, che non tornerà più a casa. Mi ha molto colpito la storia vera di due gruisti che sono morti in una notte di tempesta, a distanza di sette anni uno dall'altro, in circostanze simili, in un triste ripetersi di queste tragedie, di queste morti sul lavoro che continuano implacabilmente a segnare le vite di chi rimane. Una storia che è anche d’amore, di poesia, di memoria. Da quando è diventato uno spettacolo teatrale, il racconto è in continua trasformazione, perché a ogni replica abbiamo aggiunto qualcosa. Nell’ultima stesura ho voluto dare molto spazio anche all'aspetto politico, di denuncia. La protagonista a un certo punto si trasforma e quasi entra nei panni del marito. Un’immedesimazione di grande impatto, che le permette di esperire al meglio tutta la rabbia, il dolore dell’attesa, l’amore per il lavoro e il senso del dovere provati dal suo compagno.
Le morti sul lavoro sono uno tsunami che coinvolge i familiari per il resto della vita e lascia strascichi incommensurabili.
Il dramma dell’attesa delle prime ore che poi si trasforma in quello di un’attesa che non finisce mai e diventa una sofferenza nella sofferenza. I familiari delle vittime non smettono mai di combattere, trasformano le loro tragedie in un’opportunità per sensibilizzare gli altri, portando in giro la loro testimonianza. Come proviamo a raccontare anche nello spettacolo, c’è la morte di un lavoratore, e poi c’è tutto quello che accade intorno – e di conseguenza – quando una vita si spezza.
Esiste, secondo lei, un tema di sicurezza sul lavoro declinato in base alla questione di genere?
Io penso di sì, e penso che questo sia molto legato al fatto che tante donne lavorano in luoghi dove c'è scarsa sicurezza, sono donne invisibili. Spesso non hanno contratto, o svolgono mansioni diverse da quelle per le quali vengono pagate, o accettano condizioni di lavoro spinte dallo stato di bisogno che le rende fragili e ricattabili. Sono tutte condizioni che amplificano il problema. Queste donne invisibili vanno cercate e convinte a chiedere la tutela dei loro diritti, attraverso l’impegno del sindacato, e di tutto coloro che possono sostenerle. Non dobbiamo lasciarle sole.
Vengono in mente tutte le donne, soprattutto straniere, che lavorano come colf o badanti, nelle nostre case, spesso senza né contratto né alcuna forma di assicurazione.
Ho molte esperienze sia dirette che indirette rispetto a questo, ed è anche l’argomento di un mio racconto che si intitola La scelta, la cui protagonista a un certo punto vede la sua stessa malattia come una liberazione. Un paradosso, ovviamente, una situazione portata agli estremi, ma per evidenziare come queste donne sono veramente e doppiamente vittime. In prima linea, sono i bersagli più fragili, eppure sono immensamente forti, spesso rappresentano il perno di una famiglia che vive a migliaia di chilometri di distanza. Portano dei pesi enormi e lo fanno anche con il sorriso. Questa è una cosa dolorosa è al tempo stesso commovente.
La Gru del titolo è una parola dal doppio significato, che diventa evidente in alcune scelte della messa in scena.
Questo è un aspetto molto poetico che nasce da un’intuizione del regista Alfredo Traversa: paragonare la gru come strumento meccanico all’animale, una creatura bellissima che vive qui a Taranto, vicino al mare. Ne nasce un contrasto fortissimo tra la bellezza della natura e la cattiveria della macchina, che però è oggetto di amore da parte del gruista che la manovra, proprio come se fosse una creatura vera. La sua creatura. Siamo andati in scena in tante scuole, ricevendo da parte dei ragazzi una grande risposta, sia in termini emotivi che di stupore, per una realtà che a volte va anche sbattuta in faccia. Anche portarlo a Ravenna al Festival delle Culture, il mese scorso, è stato molto bello, grazie all’incontro con l’associazione Opportunità alla Pari.
Ravenna sede di un altro incidente che tutti ricordano: quello accaduto nel 1987 nel cantiere della Mecnavi, in cui morirono tredici operai. Mettendo vicini questi eventi tragici, ciò che impressiona di più è il ripetersi degli stessi errori.
Certi incidenti sul lavoro si ripropongono nel tempo sempre con le stesse dinamiche, come se i decenni non fossero passati. Si avverte come un senso di impotenza, come se fosse qualcosa di ineluttabile, quando invece non è così. Perché basterebbe, come nel caso dell’incidente di Taranto, adottare determinate misure per la manutenzione dei macchinari, la prevenzione dei rischi per i lavoratori. Anche di questo parla il mio testo, di quello che si sarebbe potuto fare e non è stato fatto. A Ravenna, al Festival delle Culture, le storie dei due incidenti si sono in qualche modo intrecciate, perché hanno un minimo comune denominatore: un filo di dolore che sembra non interrompersi mai e che attraversa il nostro paese. E le notizie quotidiane ce lo dicono.
Lei vive Taranto, cosa vuol dire confrontarsi quotidianamente con una dinamica complessa, in cui convivono lavoro, sicurezza, ambiente?
Si tratta di un sentimento che fa parte della nostra vita, che cammina con noi, che avvertiamo a prescindere dal lavoro che facciamo e che procede in parallelo con il tema dell’emergenza ambientale. Sono le due nostre emergenze quotidiane: ambiente e lavoro. Noi siamo consapevoli di vivere in una città particolare, che vive questo contrasto estremo tra lavoro, sicurezza e ambiente. E anzi, il rischio è che non se ne parli mai abbastanza, perché appunto sono talmente parte della nostra vita che può capitare di non volerci pensare troppo, di voler girare la testa dall’altra parte. Ecco perché è così importante l’impegno per la sensibilizzazione nelle scuole, fin da piccoli i ragazzi devono sapere cosa significa vivere a contatto con un pericolo incombente. Io ho diretto il giornale della città, mi occupo di questi temi da vent’anni e ancora sono attuali.