Prima di diventare l'inventore della “poetronica” e il geniale pioniere della video arte conosciuto in tutto il mondo, Gianni Toti – di cui ricorre quest'anno il centenario della nascita – è stato il giornalista che ha rinnovato da cima a fondo l'informazione sindacale, dirigendo per poco più di sei anni (tra il 1952 e il 1958) il settimanale della Cgil “Lavoro”.

L’intuizione di Giuseppe Di Vittorio

Fu Giuseppe Di Vittorio, che aveva avuto occasione di incontrarlo nei numerosi appuntamenti sindacali che il giovanissimo inviato “copriva” per l'Unità, nella cui redazione milanese lavorava dal 1945, a sceglierlo come direttore del periodico. La missione affidatagli era quella di farne un rotocalco destinato a sostituire, nelle famiglie dei lavoratori, la stampa di intrattenimento borghese, portando sotto i riflettori fatti e personaggi in antitesi con il mondo patinato che costituiva l'asse della narrazione dei magazine “normali” (l'aggettivo si riscontra nei verbali della segreteria della Cgil).

Gianni Toti

Giornalisti di professione e fotografie

Del giornale ha curato l'edizione anastatica di alcuni numeri, preceduta da un ampio saggio introduttivo, la studiosa di comunicazione Rossella Rega (Ediesse, 2008). La pubblicazione documenta il tentativo di attuare il mandato ricevuto e tutte le novità editoriali che lo caratterizzarono. L'ampio ricorso alla fotografia ribaltò il rapporto tra testo scritto e immagine rendendo ariose le pagine e accattivante la lettura. Ma ancora più determinante fu la sostituzione con giornalisti di professione dei funzionari sindacali (il cui ampio mansionario da sempre – come ricorda Bruno Roscani nel suo ironico e amaro memoir “Compagni così” - prevedeva il dovere di scrivere sui loro bollettini).

Ci passarono grandi firme

Non è un caso che intorno alla redazione di “Lavoro”, palestra di giovani in formazione, come Lietta Tornabuoni (che più volte ha raccontato con nostalgia questa sua esperienza “da pari” con i colleghi uomini), si raccolsero professionisti dal grande futuro. Qualche nome: Mario Pirani (per l'economia), Arturo Gismondi (con una rubrica sulla televisione, appena nata), Ghigo De Chiara (per la critica teatrale), Ando Gilardi, fotoreporter del quale ancora oggi colpisce la capacità di legare foto e testo scritto in un racconto a più dimensioni.

Quei corpi nudi di Hiroshima

La scelta della fotografia fu radicale e, in alcuni casi, suscitò polemiche: disorientò i lettori, per esempio, l'uso di foto in “movimento” (quasi un retaggio del fotodinamismo futurista) ma anche la scioccante pubblicazione, con uno scoop che fece esaurire le tirature del giornale, affidato alla vendita e alla distribuzione interna e solo raramente alle edicole, delle foto dei corpi nudi dei campi di concentramento nazisti e, per l'anniversario della bomba di Hiroshima, dei superstiti dell'atomica.

La scoperta del tempo libero

Gianni Toti tentò anche di aprire il giornale a nuovi contenuti, al dialogo con gli altri “mondi” del lavoro. Per alcuni numeri, insieme con il periodico della Confindustria “La Gazzetta per i lavoratori”, tenne aperta una rubrica intitolata “coesistenza pacifica”, in cui si mettevano a confronto le tesi di ciascuna delle parti su uno stesso tema.

Ma l'innovazione, forse più importante, che, dopo diverse approssimazioni sempre più decise, diventa stabile nell'annata 1957, fu un secondo sfoglio di 12 pagine (quanto il primo) provvisto di una propria testatina “Tempo libero”, in cui si puntava a sostenere la necessità di una tutela “sindacale” del lavoratore non solo nei confronti del padrone in fabbrica (si chiedeva la settimana corta, la diminuzione dell'orario di lavoro al crescere della produttività) ma anche del “consumo di tempo libero” fuori dalla fabbrica. Di queste pagine restano, per i contenuti premonitori, le polemiche con Franco Ferrarotti, allora giovanissimo ricercatore della Olivetti, sul potere delle organizzazioni e la “libertà televisiva”.

Perché “Lavoro” fu archiviato?

Ma perché l'esperienza di “Lavoro” viene archiviata? Che ne è dei propositi di rafforzamento espressi dalla segreteria della Cgil (le cui riunioni sono documentate dalle storiche Ilaria Romeo e Maria Paola Del Rossi in un volume, “Tra l'incudine e il martello”, dedicato alle vignette satiriche del giornale) fin quasi alla vigilia delle dimissioni di Toti? Problemi di fiducia politica, dopo la morte di Di Vittorio, certamente. Ma non solo. Toti ne ha parlato poco, individuando, con indulgenza, nell'irrompere della televisione una concorrenza imbattibile.

Ando Gilardi, quasi mezzo secolo dopo va oltre: racconta a Roberto Giovannini, in un'intervista sulla storia di “Rassegna sindacale” e l'editoria sindacale, che il limite fu costituito dalla scelta di non “andare” nelle edicole. Ma ancora di più – aggiunge con spiazzante sincerità - dal fatto che il lavoratore immaginato da Toti e che, nella sua visione, era il destinatario del giornale semplicemente non esisteva: quello vero, arrivato alla sera stremato dal lavoro, tutt'al più avrebbe sfogliato le pagine della Gazzetta dello Sport.

Il tempo della necessità, insomma, aveva condizionato e sabotato il tempo “totiano” della liberazione.