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Tra i molti libri dedicati alla figura di Enrico Berlinguer, non soltanto in questo anno che celebra il centenario dalla nascita, quello scritto da Luca Telese, dal titolo La scorta di Enrico. Berlinguer e suoi uomini: una storia di popolo (Solferino, pp. 408, euro 22), senza dubbio riesce più di ogni altro ad aggiungere accadimenti e informazioni spesso ancora poco conosciuti, non fosse altro per l’esclusività delle fonti. La storia degli uomini della scorta di Berlinguer diviene così una narrazione polifonica attraverso le loro voci, alle quali si uniscono altre preziose testimonianze, ripercorrendo con la vita umana e politica del leader comunista anche le vicende più importanti dell’Italia del secondo Novecento, dalla fine della guerra agli anni di piombo, connesse ad alcuni eventi internazionali che lo videro in vario modo coinvolto: Budapest e Praga, il Vietnam e il Cile, compresi ulteriori e determinanti dettagli nei capitoli che ricostruiscono l’incidente automobilistico avvenuto a Sofia nel 1973, ormai documentabile come vero e proprio attentato orchestrato dal Kgb poche settimane dopo il golpe di Pinochet, ai danni del segretario generale dell’allora più importante Partito comunista occidentale, impegnato nella ricerca di una via autonoma e democratica al socialismo.
Luca Telese ci restituisce il tutto con la penna dello scrittore e l’occhio del giornalista. Gli abbiamo rivolto alcune domande.
Partiamo dai protagonisti, che diventano tali grazie all’originale taglio dato al libro. Come nasce questa idea di far parlare gli uomini della scorta di Berlinguer?
Nasce perché ho avuto la fortuna di conoscerli, ed è accaduto quando tutte queste persone, che dopo la morte di Enrico non si erano più viste, si sono riunite a cena dopo tanto tempo per la nascita di un altro Enrico, mio figlio (Luca Telese è sposato con Laura, l’ultima dei quattro figli di Berlinguer). Era il 2006, e da lì è scattata la prima scintilla.
In che modo?
Accade questa cosa buffa. Stavano prendendo in giro Lauro (Righi), uno dei sette uomini della scorta, per scuoterlo da questo doppio pudore che in realtà li caratterizzava tutti, il pudore comunista e quello operaio, da cui la convinzione di dover mantenere una sorta di riservatezza: gli incontri del segretario, l'epopea di Botteghe Oscure, il clima degli anni di piombo, anche la loro stessa storia. Alla fine Lauro si convince a raccontare un episodio della sua guerra partigiana dove era stato direttamente coinvolto, riportato nel libro; dopo quel racconto si sono sciolti, ed è lì che ho cominciato a capire che quella memoria collettiva non doveva essere perduta.
Se la prima scintilla parte nel 2006, parliamo di un lavoro di ricerca durato 15 anni…
Più che altro è stata un’opera di convinzione nel raccontare episodi mai narrati prima. Dopo il libro di Alberto Menichelli scritto con Valentina Brinis, che ruppe il ghiaccio, anche gli altri cominciarono a pensare di poter essere meno impenetrabili. Così quando si avvicinava il 2022, il centenario dalla nascita di Berlinguer, ho deciso che questo libro apertosi da sé nel 2006 dovesse essere chiuso. E nell’ordinarlo mi sono reso conto che gli uomini della scorta persino tra di loro non si erano raccontate molte cose, tra cui le battaglie nei rispettivi consigli di fabbrica, per esempio. Emerge in questo modo una lotta di classe che sembra uscita da “Novecento” di Bertolucci, una continuità trasmessa di padre in figlio, tra persone che spesso arrivavano a malapena alla licenza elementare, ma custodi di una cultura vasta, da autodidatti, oltre che proveniente dall’esperienza di vita. Un’immagine oggi divenuta quasi poetica.
Dalle pagine del libro si capisce bene quanto fossero legati tra loro.
Erano tutti operai, tutti iscritti alla Cgil. Dante Franceschini era nella Fiat di Novoli, Bertuzzi prima di iscriversi al Pci era già in Cgil da operaio Voxson, Pietro Alessandrelli faceva il fabbro, Alberto Marani si ritrovò a lavorare nella mitica officina metallurgica dei fratelli Vasco e Tullio Lugli a Modena, la stessa Modena dove Otto Righi lavorava come operaio metalmeccanico in una fabbrica di macchine agricole. E poi Alberto Menichelli, il capo della scorta, primus inter pares, che racconta la sua famiglia operaia descrivendo la nascita del villaggio Breda alla periferia di Roma, pensato proprio per i lavoratori di quella fabbrica di armi. Tutti appartenevano al mondo operaio, e avevano una loro tradizione famigliare, una memoria importante. Un po’ come la tradizione della famiglia di Enrico Berlinguer per la politica, la grande famiglia risorgimentale, dal bisnonno al nonno Enrico al padre Mario, che dal partito d’Azione era confluito nel Partito socialista. Ecco perché Berlinguer, comunista “dalla testa ai piedi”, amava ironicamente definirsi “la dimostrazione dell’evoluzione della specie”. Una delle sue frasi secondo me più significative recita così: “Ho fatto una scelta di vita: stare dalla parte dei più deboli, degli sfruttati, dei diseredati, degli emarginati”. E questa scelta, la scelta della lotta di classe, lo porta a incontrare e legarsi con la sua scorta, fortemente proletaria.
Dei tantissimi episodi raccolti nel libro ce n’è qualcuno che nel corso di questi anni ha assunto un significato particolare?
Mi viene in mente quello raccontato da Dante Franceschini, quando da bambino la mamma lo vede arrivare con la divisa da balilla e così vestito lo manda a pranzo dagli zii, che prima di mangiare lo rimandano a casa a cambiarsi. Parlando di lavoro, mi è rimasta impressa la storia delle palette per fare la pipì nella fabbrica della Voxson, raccontata da Roberto e confermata anche da una sua compagna di lavoro, poi finita nella Fiom. Siamo nel 1970, e queste erano le condizioni degli operai in una grande azienda come ai tempi era la Voxson, i simboli fisici di questo sfruttamento operaio dimenticato, dove i colletti bianchi mangiavano in una mensa diversa, per il principio padronale del divide et impera, ma poi i licenziamenti spesso venivano difesi tutti insieme.
Beh, non sempre. Inevitabile il riferimento alla manifestazione del 1980 alla Fiat, che vide protagonista proprio Berlinguer.
Emblematico il racconto di Otto Grassi, che si recò preoccupatissimo davanti ai cancelli con Berlinguer, soprattutto al momento dell’incontro del leader di partito con coloro che potremmo definire come una sorta di "protocobas". Gli chiesero se potevano fargli delle domande, e Berlinguer fece accroccare subito un microfono, in piedi sul tavolo insieme allo stesso Grassi. E alle parole “Qualunque cosa sceglierete, il partito sarà con voi”, Grassi si girò e tra gli altri vide lo striscione anche della sua stessa fabbrica, emozionandosi. Ma quando in macchina restarono soli, non chiese nulla più. Uomini d’altri tempi.
Siamo nel centenario dalla nascita di Berlinguer, e la sua figura sembra essere sempre più attuale. Come mai?
Non ho mai condiviso chi in questi anni ha parlato di due Berlinguer, l'uno prima dei tre articoli che definirono la proposta politica del compromesso storico, sino all’uccisione di Aldo Moro. Perché dopo non c’è un secondo Berlinguer, non è un altro, come ad esempio ha più volte rimarcarto Walter Veltroni. Berlinguer a poco più di vent’anni combatteva per il pane a Sassari, ha combattuto contro il potere di Yalta, il potere violento di Washington e Mosca, contro i carri armati a Praga e il golpe in Cile. Poi la sua lotta continua nei confronti del male oscuro della prima repubblica, tra Gladio e P2, da cui il totem della “questione morale”, ormai abbandonata dalla sinistra del terzo millennio, dove una certa passione sembra essere ormai finita. In questo è più attuale oggi di ieri.
Ora che è pubblicato cosa ti rimane di questo libro, di questo lavoro di testimonianza e di archivio?
Sono contento soprattutto del fatto che senza questo libro gran parte di queste memorie sarebbero state perdute, e con loro la storia di un rapporto incredibile, i sacrifici pazzeschi compiuti da persone anonime, il rispetto, i princìpi e il grande affetto che legava tutti loro e le loro famiglie, compresa la famiglia Berlinguer, diventando in quegli anni un’unica famiglia, una famiglia allargata, un paese nel Paese. Mi viene in mente, per chiudere, la battuta contenuta nel monologo finale di Roy Batty in Blade Runner: “E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia”. Grazie a questo libro spero non sia così.