Torna la nuova edizione del Premio Amnesty Voci per la Libertà, che ogni anno propone i pezzi più interessanti del panorama musicale sui temi dei diritti umani. Al via le selezioni per i musicisti emergenti e le segnalazioni, da parte della giuria di esperti, per i big.

Michele Lionello, direttore artistico del festival, nel 2025 il Premio Amnesty Voci per la Libertà celebra i suoi 23 anni. Mai come in questo momento c’è bisogno di parlare di diritti umani.

È un tema che non perde mai di attualità. Anche quest'anno ci sono arrivate già tantissime segnalazioni, sia per la sezione dei big che per quella degli emergenti. Molte canzoni affrontano il tema dell'immigrazione, dei conflitti, dell'integrazione. Ma parlano anche di ambiente, di violenza di genere, di aborto, di gender gap. Sono veramente molti i temi che gli artisti, sia emergenti che big, trattano. Stiamo vivendo un momento storico in cui purtroppo si moltiplicano i casi di violazione dei diritti umani, sia in Italia che all’estero. E la musica, anche attraverso un festival come il nostro, può fare molto.

A proposito di festival, che cosa ne pensa di com’è andato quello di Sanremo?

Devo confessare che il Sanremo di quest'anno, dal punto di vista dei contenuti, è stato molto deludente. Ha lasciato perplessi sin dall’inizio, quando Carlo Conti, appena uscite le canzoni, ha affermato che una delle cose che più gli piaceva è che non parlavano del macro-mondo, di guerra, immigrazione e altri temi sociali, ma piuttosto del micro-mondo. Certo, la famiglia e i rapporti personali sono temi importanti, ma se il più importante festival di musica italiano non parla di quello che ci accade intorno, e il direttore artistico se ne fa motivo di vanto, a mio giudizio è una cosa molto triste. Credo che, al contrario, ci sia tanto bisogno di artisti che in assoluta libertà raccontano il mondo in cui viviamo.

Sanremo e il Premio Voci per la Libertà sembrano due rette parallele che non si incontreranno mai, due mondi musicali e artistici molto diversi. Eppure entrambi specchio di questo paese. Com’è possibile?

A Sanremo ha vinto una canzone vecchia scritta da un ragazzo giovanissimo. Per fortuna sul podio c’erano altri due artisti che in passato si sono spesso occupati di diritti umani con la loro musica. Brunori ha vinto il Premio Amnesty. In passato lo ha vinto anche Simone Cristicchi. Autori e artisti con una sensibilità consolidata rispetto a questi temi. Non posso negare che anche le canzoni che arrivano da noi, molto spesso, sono oggetto di futili strumentalizzazioni politiche. Pensiamo proprio a Cristicchi, che vinse il nostro premio nel 2011 per il pezzo Genova Brucia. Fu subito polemica nei suoi confronti, perché parlava delle violenze della polizia, fu etichettato come artista estrema sinistra. Di fatto, però, il suo testo era basato per gran parte sulla trascrizione letterale degli atti del processo. Due anni dopo Cristicchi scrisse Magazzino 18, sulla storia delle foibe. Immediatamente diventò un autore di destra. La politica, piuttosto che difendere i diritti umani (come recita la Dichiarazione Universale), troppo spesso li strumentalizza. E questo magari mette gli artisti nella condizione di avere paura di esporsi, anche su temi che ci riguardano tutti in prima persona. D’altronde, c’è da dire che i brani che hanno vinto il Premio Amnesty nel corso di questi anni, quasi mai erano dei singoli. Erano sempre “il lato B” di qualche album. Le etichette discografiche, tendenzialmente, faticano a far emergere i temi scomodi anche con gli artisti che li trattano. Ecco perché il nostro festival è una vera e propria “riserva indiana”.

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I diritti non sono di destra o di sinistra, sono diritti e basta. Le canzoni che hanno vinto nel corso di queste ventidue edizioni, più che interpretare un singolo articolo della Dichiarazione, hanno raccontato pezzi della nostra storia. Vicende a volte anche divisive, e lo hanno fatto con grande coraggio.

Nel corso di queste edizioni, sia tra i big che tra gli emergenti, abbiamo incontrato brani molto diversi tra di loro. A volte di denuncia, come Rwanda di Paola Turci, altre di disvelamento di condizioni a noi sconosciute, come Ebano dei Modena City Ramblers, che affronta il tema delle donne sfruttate in alcuni paesi del mondo. Il bello della musica in questo festival è che è un mix di linguaggi e generi molto diversi.

L’appuntamento con Voci per la Libertà è, come di consueto, a luglio. In queste settimane però state raccogliendo le candidature tra i big e tra gli emergenti. Come funziona per questi ultimi?

Sì, in questo momento stiamo raccogliendo le iscrizioni di gruppi e di singoli su vociperlaliberta.it, dove si trovano il bando e la scheda di iscrizione. Che poi li chiamiamo “emergenti” perché non abbiamo ancora trovato un termine diverso, ma su quel palco arrivano anche musicisti professionisti e con anni di musica alle spalle. A prescindere dal concorso, quello è un palco importante, dove cantare e condividere la propria arte con tanti altri. Inoltre da tre anni a questa parte è nata, in parallelo al festival, anche la Settimana dei diritti umani. Abbiamo messo insieme una quarantina di associazioni del territorio, in Veneto, che si occupano di promozione dei diritti umani non solo attraverso la musica, ma anche il teatro, la letteratura, il cinema. Durante quella settimana Rovigo accoglierà incontri, dibattiti, laboratori e decine di linguaggi ed espressioni diverse sul tema dei diritti umani.

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