Dal 7 al 9 marzo del 2019, in Vaticano, si riunirono i rappresentanti di diverse religioni, arrivati a Roma da tutto il mondo per discutere di sviluppo sostenibile. La conferenza internazionale aveva lo scopo di far avanzare il dialogo interreligioso e di incrementare il contributo che le religioni possono offrire alla causa e agli obiettivi dello sviluppo sostenibile.
In ordine sparso monaci buddisti, scienziati musulmani, esponenti di associazioni taoiste, funzionari delle Nazioni Unite, indigeni brasiliani, rabbini, luterani, focolarini, rappresentanti delle istituzioni, confuciani, giainisti, aborigeni africani, sikh, ricercatori nei campi del clima e della biodiversità, sciamani e guaritori, oltre naturalmente a una variegata rappresentanza dei padroni di casa, trasformarono la Sala del Sinodo in un’arca variopinta.
Tra i latori della “prospettiva indù” c’era lei, Vandana Shiva.
Alla fine della sessione la inseguii nell’atrio per fotografarla.
Attivista ambientale, tra i più rilevanti teorici dell’ecologia sociale, femminista, nel 1993 Vandana Shiva ha ricevuto il Right Livelihood Award, noto anche come Alternative Nobel Prize, con una motivazione che racconta, in poche parole, il centro pulsante del suo impegno: “Per aver collocato donne ed ecologia al cuore del dibattito dello sviluppo moderno”.
La sua voce, schietta e radicale, non ha mai smesso di risuonare in questi anni. Una critica costante all’imperante modello socio-economico, alla dominazione sistematica del nord sul sud del mondo (un sud depauperato delle sue risorse e abbandonato), alla globalizzazione che ha inciso ancora più a fondo il solco che separa le poche ricchezze dalle molte povertà.
Ma Vandana Shiva non ha mai perso quella energia e quella passione che si vedono brillare nei suoi occhi in questa foto.