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“Silenziosa e vuota, spettrale, quasi senza vita. Venezia nelle settimane di lockdown – ci racconta Daniele Giordano, segretario della Funzione Pubblica Cgil locale – ha mostrato il suo vero volto. Sembrava in pace. In realtà sta morendo”. Senza il trucco pesante di un turismo sempre più pressante e frenetico, il profilo del leone alato ha rivelato tutti i segni della solitudine e della malinconia. La pandemia ha messo a nudo quanto questa città abbia smesso di essere tale. Con una popolazione sotto i 50 mila abitanti e le giovani coppie, elisir di lunga vita, ben lontane dal potersi permettere un appartamento con vista sui canali.
Peccato che la brutale lezione del covid non sia stata ascoltata in Comune. Ancora una volta le convenienze elettorali, a poche settimane dal voto di settembre, hanno suggerito scorciatoie poco lungimiranti. Con effetti collaterali devastanti per il destino dei lavoratori e di Venezia. Accade così che pochi giorni fa decine di dipendenti della Fondazione dei Musei Civici e degli appalti connessi siano scesi in piazza con i sindacati uniti – per la Cgil c’erano la Fp e la Filcams – per denunciare, con un volantinaggio, la propria condizione. Il bollettino della vertenza racconta di circa 400 famiglie che non sanno come arrivare alla fine del mese. Persone che ancora non lavorano, nonostante garantiscano servizi pubblici essenziali per i quali il governo stesso ha autorizzato la riapertura. Il paradosso è che i musei statali come la Galleria dell’Accademia, in questa settimana riapriranno tutti.
“Mentre – ci spiega Daniele Giordano – i musei comunali, la parte più importante, gestiti dalla Fondazione Musei Civici, partecipata dal Comune di Venezia, con 75 dipendenti che si occupano di conservazione delle opere e di organizzazione dell'attività scientifica, e 350 lavoratori delle cooperative – bookshop, punti ristoro, sorveglianza sale – sono tutti in Fis (Fondo di integrazione salariale) e, a parte pochi rientri, hanno prospettive incerte anche per le prossime settimane”. Molti di loro sono lavoratori part-time che con la Fis per covid arrivano a stento a prendere 300 euro al mese. Eppure il turismo sta tornando, anche se molto lentamente. Perché questa chiusura da parte del Comune? “Un tema è quello delle risorse. La Fondazione ha un disavanzo di 6 milioni di euro. Anche se il buco sarà coperto con milioni e milioni di euro di utili degli anni precedenti – nulla verrà chiesto al Comune – e con una fetta di quei 50 milioni messi sul piatto dal governo, a livello nazionale, proprio per ripianare i mancati introiti”.
Ma allora come si spiega la decisione del Comune? “È una scelta politica. L’atteggiamento del ‘teniamo chiuso per non fare disavanzo’ sembra che paghi di più in termini elettorali”. Già visto e già sentito, purtroppo, in un Paese che ha riaperto tutto, dalle fabbriche ai campi di calcetto, ma fatica a dare la giusta considerazione a ogni cosa che riguarda la cultura in senso lato, a partire dalla scuola. Persino a Venezia, dove basta leggere i dati per capire quale inestimabile dote porti il settore alla città. Nel 2019 i visitatori dei musei sono stati due milioni e 150 mila. Il ricavo dei biglietti tra marzo e luglio di un anno fa è stato di 15 milioni di euro. E Venezia è l'unica città in Italia che sostiene il costo dei propri musei totalmente in autonomia, arrivando anche a fare utili. Senza che il Comune debba stanziare fondi.
A questo bisogna aggiungere che tenere chiusi i musei non fa altro che rallentare la ripresa del turismo. In tanti rimanderanno una gita in città sapendo che molti dei musei sono ancora chiusi. “Gli stranieri – ci racconta Daniele Giordano – reagiscono sbigottiti. Sono sconcertati quando trovano le porte sbarrate. Anche l'altro giorno durante il nostro volantinaggio. E il messaggio che passa è che la città viene trattata come un museo a cielo aperto e che i musei non servono. Alla fine torniamo al punto di partenza: quello in cui la politica deve scegliere quale turismo vuole. Mordi e fuggi?”.
E allora qual è il vero profilo di Venezia? “È una città straordinaria – ci risponde il segretario della Fp Cgil – ma deve rivedere la compatibilità con l'uomo. Deve sfruttare questa occasione per ripensare il tessuto sociale ed economico. Il dibattito sulla nostra offerta culturale è centrale. Rispondere chiudendo tutto è un errore madornale. Lo stesso sarebbe il ritorno al vecchio sistema. Di certo si deve comunque ripartire dall’arte e dalla cultura”.
Per il sindacato sono questi i perni principali. Ai quali si aggiungono i lavoratori. Non soltanto quelli che hanno volantinato. Quelli dei musei. Ma tutti quelli che se la stanno vedendo brutta. Impiegati negli hotel, nei ristoranti, nei bar, nelle attività connesse. In una città strangolata dal turismo. Dal quale non può e non vorrebbe comunque liberarsi, ma soltanto fare pace.