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Un anno fa la pandemia. Tutto è cominciato da Wuhan. Nei primi mesi del 2020 l’atteggiamento del mondo verso la Cina è stato duplice e si è mosso tra due estremi: complottismo (il virus prodotto da un laboratorio e poi sfuggito ai controlli o addirittura proditariamente messo in circolazione) o ammirazione per la capacità mostrata dal paese di imporre chiusure e sacrifici difficili da pensare nelle democrazie liberali occidentali. E ora? Come appare all’occidente il gigante asiatico? È aumentato o diminuito il suo appeal, anche culturale, rispetto a “noi”? “C’è un modo semplice per avere qualche indicazione al proposito andare a vedere i diversi sondaggi realizzati in questi mesi da vari think tank sulla percezione del paese asiatico in Occidente. Ebbene i riscontri sono tutti negativi”, ci dice Simone Pieranni, giornalista de il Manifesto , tra i massimi esperti di Cina e Asia nel nostro paese e autore di Red Mirror. Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza).
Quali sono i motivi? Sono sempre legati alla questione coronavirus?
Non solo. C’entra molto anche il tema della nuova “via della seta”, degli aiuti che la Cina ha fornito a molti paesi e che hanno fatto crescere il timore che il paese voglia “conquistare” l’Occidente, puntando a un’egemonia su larga scala. Questo anche per il comportamento di alcuni diplomatici, i cosiddetti wolf warriors, che si muovono in maniera molto aggressiva sui social media per orientare le diverse opinioni pubbliche. Anche l’insediamento di Biden negli Usa non ha aiutato…
In che senso?
Prima c’erano gli Stati Uniti di Trump e nello scontro tra i due giganti la Cina sembrava essere in fondo il paese più responsabile. Ora invece il fatto che Biden dica, seppur in maniera educata, più o meno le stesse cose del sue predecessore, certamente non aiuta l’immagine della Cina in Occidente che però, va detto, ha da sempre un grande problema di comunicazione con il “nostro” mondo. Al di là della visione binaria che citavi e che è un classico, la Cina non ha ancora trovato un modo per inserirsi in un discorso politico e culturale con l’Occidente, e questo genera tante incomprensioni.
Come è accaduto in fondo anche rispetto alla gestione della pandemia…
Esatto. In alcuni casi il modello cinese è stato esaltato senza comprenderlo davvero. Si è detto che se uscivi di casa ti sparavano, ovviamente non è stato così. In Cina, semplicemente, hanno un sistema valoriale diverso dal nostro che fa sì che – nel momento in cui viene indicata una strada da seguire per il benessere comune – le persone la accettano. Punto. Poi è chiaro che lo stesso risultato lo avrebbero potuto ottenere in maniera coercitiva, perché si tratta di un paese autoritario, con un partito unico che ha la possibilità di reprimere o obbligare le persone a fare una cosa. Ma non è andata così: c’è stata una grande “mobilitazione” di massa, come è avvenuto tante volte nella storia di questo paese.
Ed è stato un lockdown durissimo…
Sì, hanno davvero chiuso tutto. A Wuhan e negli altri luoghi dove lo stop generale è stato deciso, nessuna fabbrica funzionava e i trasporti sono stati completamente fermi: è così che sono riusciti a uscire dalla prima ondata.
Il 2021 è comunque un anno cruciale per la Cina, anche dal punto di vista simbolico: 100 anni fa è stato fondato il Partito comunista e 10 anni fa – 90 anni dopo – il paese è entrato nel Wto. Il protagonista assoluto di questa fase è naturalmente Xi Jinping. Dopo Mao, che ha ridato un assetto politico alla Cina, Deng il cui obiettivo era stato essenzialmente liberare milioni di cinesi dalla povertà economica, il nuovo leader sembra avere obiettivi anche geopolitici e culturali, declinati nel suo celebre “sogno cinese”. Di cosa si tratta esattamente?
L’espressione “sogno cinese” è stata lanciata da Xi nel 2012 quando fu nominato segretario del Partito comunista. Il riferimento era chiaramente all’american dream, con l’obiettivo però di sottolinearne le differenze. Schematizzando, il sogno cinese significa che se la Cina va avanti, ogni cittadino può migliorare le proprie condizioni di vita. Il sogno americano è, invece, individualistico: se ti sbatti, se insisti, se hai capacità arrivi e ti realizzi. In realtà poi Xi puntava a far sì che il sogno cinese potesse diventare un sogno globale attraverso il quale tutti i paesi – grazie alla cooperazione economica con Pechino – potessero trarre vantaggio in uno schema win win. Lo strumento per raggiungere questo obiettivo doveva essere la nuova via della seta.
Un progetto che però ha suscitato molti sospetti nei paesi coinvolti…
Sì. Si tratta di un progetto essenzialmente infrastrutturale (autostrade, porti, treni ad alta velocità) che rivela anche la volontà di controllare gli snodi principali delle tratte commerciali. Cioè, la Cina ha bisogno di far arrivare da qualche parte il suo surplus manifatturiero. La via della seta, inoltre, è un progetto anche finanziario, perché mira a internazionalizzare lo yuan.
Mi pare che questo veicolo del sogno globale cinese però non abbia ancora funzionato.
Per ora no. Ovviamente la pandemia ha influito molto, anche se va detto che è nata una sorta di via della seta sanitaria, con la fornitura di quel materiale bio-medicale di cui c’è grande bisogno. Tuttavia, secondo me ha pesato molto la perplessità di molti paesi, e anche il timore di finire in una trappola del debito: la Cina presta soldi per le infrastrutture ma poi li rivuole, un po’ come il Fmi. E anche il fatto che molti di questi progetti avessero un impatto ambientale poco consono con la transizione ecologica non ha aiutato. Insomma, sul versante globale il sogno cinese sembra essersi arrestato.
E all’interno il sogno cinese ha funzionato?
Ha funzionato alla grande. Xi ha imposto una stretta autoritaria molto forte, non si muove una mosca e c’è un controllo totale sulla popolazione. La Cina però continua a crescere, i cinesi continuano ad arricchirsi e quindi ad accettare questa sorta di patto sociale, che in fondo era stato già sancito da Deng: arricchitevi pure, però dovete rinunciare ad alcuni diritti. Con la pandemia questo patto si è aggiornato. Oltre alla possibilità di fare soldi, il partito ha aggiunto: sarete tutelati nella vostra salute.
“Sogno” a parte, per la Cina continua a essere molto problematico godere di un appeal legato alla sua cultura e al suo pensiero che pure vantano una storia millenaria…
È vero. Il cosiddetto soft power – che si basa su capacità, come dici tu, di “ammaliare” gli altri popoli con la propria cultura, come fanno gli americani – per il paese asiatico non funziona. Dei tre assi su cui si muovono tradizionalmente le grandi potenze per imporre la propria egemonia – economia, forza militare e appunto soft power – la Cina utilizza soprattutto la prima leva. Dispensa aiuti ad altri paesi, in cambio di risorse e libertà di costruire infrastrutture per fare andare più velocemente le merci. Non credo che riuscirà mai ad avere un impatto sulla nostra società come quello americano: le differenze sono troppe e l’Occidente è troppo legato agli Stati Uniti.
Un qualche miglioramento però c’è stato: mi pare ad esempio che il leit-motiv della Cina che copia e dunque ruba i nostri prodotti e la nostra tecnologia sia ormai definitivamente tramontato...
Questo è vero: da fabbrica del mondo la Cina sta sta diventando sempre di più un paese che produce alta tecnologia e innovazione. Anzi siamo quasi di fronte a un ribaltamento: se prima i cinesi copiavano, ora è l’Occidente che copia o utilizza tecnologia cinese. Pensiamo solo alle videocamere di controllo installate nelle nostre città oppure a tutta una serie di strumenti in dotazione alle polizie cinesi o americane e magari prossimamente anche europee. E qui vedo dei rischi.
Perché?
Nel momento in cui acquisti l'hardware sei tentato anche di utilizzarlo nel modo in cui viene utilizzato nel paese da cui proviene. Insomma: non compriamo più accendini o manifattura varia, ma alta tecnologia che ha anche aspetti negativi perché aiuta i governi a controllare i propri cittadini. Magari il soft power non seduce le persone, ma l’autoritarismo che sta dietro a questa tecnologia del controllo può allettare governi di democrazie in crisi come quelle occidentali. In sostanza, diventa appetibile il lato più brutto del modello cinese.