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Sante Bagnoli è lo storico fondatore della casa editrice Jaca Book di Milano, insieme a Vera Minazzi, responsabile di un progetto editoriale che dal 1965 a oggi ha pubblicato migliaia di titoli, e che ancora riesce nell’impresa non semplice, per un editore indipendente “puro”, di farne arrivare negli scaffali delle librerie italiane 160 ogni anno. Li abbiamo raggiunti entrambi per farci raccontare i passaggi essenziali di un’avventura unica nel suo genere.
Jaca Book è artefice di una lunga storia editoriale indipendente. Come possiamo descriverla?
Da un lato siamo molto fedeli alla nostra storia, dall’altro ci sentiamo innovativi. La casa editrice nasce nel 1965, ponendosi come obiettivo la diffusione delle scienze umane e sociali, quando questo tipo di studi esplode nel campo del sapere. Ma abbiamo subito intuito che la filosofia sarebbe comunque rimasta importante, e non sostituita dalle nuove discipline. Poi ci siamo concentrati sul colonialismo e le sue conseguenze, sui movimenti di liberazione, e continuiamo a occuparcene perché il colonialismo, nelle sue varie forme, può essere mutato ma non si è mai fermato: pensiamo soltanto agli effetti in questi ultimi anni della mentalità colonialista, dal punto di vista economico e finanziario, nel mondo del lavoro.
Un tema che ci interessa approfondire...
Ed è un tema che affronteremo in una delle nostre prossime pubblicazioni, in uscita a gennaio, La politica mondiale del lavoro. Affrontare la globalizzazione, dello studioso Sandro Antoniazzi. Pur restando editori di scienze umane, in questo nostro lungo viaggio editoriale si sono aggiunte altre cose, dalla religione al mondo dell’antropologia a quello dell’arte, sempre cercando un raccordo culturale e politico. E per noi l’arte significa visitare diversi paesi, parlando del contesto culturale, antropologico, politico, del passato e del presente. Pensiamo al Sud America, al problema del meticciato, specie nel Messico, o nel continente africano, allo sfruttamento delle donne in Brasile, ai Caraibi. Un nostro titolo emblematico in questo senso è del premio Nobel nigeriano Wole Soyinka, Al di là dell’estetica. Uso, abuso e dissonanze nelle tradizioni artistiche africane, che insiste sul complesso e sbilanciato rapporto culturale tra mondo occidentale e mondo africano rispetto alla sua arte e la sua tradizione.
Come sviluppate il vostro lavoro di ricerca?
Il nostro lavoro editoriale si dispiega principalmente intorno a tre collane, che si ravvivano o ne fanno nascere di nuove, diventando costole di altro. Abbiamo una collana, Ecologica, nata originariamente con il nome di “Terra Terra”, la più longeva collana d’ecologia, iniziata nei primi anni Settanta insieme alla storica Cooperativa Alce Nero. Nel tempo si è specializzata nel trattare problematiche ecologiche legate al mondo del lavoro, per esempio con il libro Un secolo di cloro e pcb, di Marino Ruzzenenti, 600 pagine sul disastro che ha coinvolto la città di Brescia. Un tema, quello della salute legato al mondo del lavoro, che ha riguardato troppo poco e troppo tardi le istituzioni del Paese: c’è voluto Enrico Berlinguer per far capire che certe questioni erano delle vere e proprie catastrofi per tutti, non solo per operai e fabbriche. Il lavoro è spesso al centro della nostra attenzione, ci sono in catalogo autori quali Ricardo Antunes, Max Wertheimer, James Petras, o titoli come La fabbrica dei profumi di Daniele Biacchessi, che abbiamo ripubblicato dopo quarant’anni soltanto con una nuova introduzione, perché si tratta di un’inchiesta valida tutt’oggi, purtroppo. Gli insabbiamenti sulla vicenda di Seveso ancora restano tali.
Ci sono storie raccontate nei vostri libri alle quali siete rimasti profondamente legati?
Chiaramente ce ne sono molte. Dovendone sceglierne una citiamo La Terra dei fuochi, attraverso un libro scritto solo da autrici, toccate in prima persona dalla vicenda. La Terra dei fuochi è una battaglia, una lotta carsica, che appare e scompare sugli organi di informazione. Rimanendo in tema c’è anche la pioggia di arsenico a Manfredonia, la “storia di una catastrofe continuata” di Giulia Malavasi, che abbiamo pubblicato un paio di anni fa.
Tra le ultime collane proposte c’è “Dissidenze”.
Sì, una collana recente curata dal sociologo Lelio Demichelis, dove cerchiamo di indagare il rapporto tra realtà e tecnologie, anche in relazione al mondo del lavoro. In La grande alienazione. Narciso, Pigmalione, Prometeo e il tecno-capitalismo, per esempio, Demichelis analizza proprio questo, ed è un titolo che avrà una prestigiosa pubblicazione anche in inglese. Oggi il panorama dell’alienazione si affronta ragionando sulle trasformazioni degli ambienti di lavoro, dalle grandi fabbriche alla grande precarietà. Lo abbiamo fatto anche con Tempi (retro) moderni. Il lavoro nella fabbrica-rete, il libro dell’attuale segretaria generale della Fiom-Cgil Francesca Re David, che si aggiunge agli altri che approfondiscono la critica al tecno-capitalismo. La terra brucia. Per una critica ecologica al capitalismo, per citarne un altro, è uno degli ultimi contributi di Giorgio Nebbia,prima della sua scomparsa. Insomma, c’è uno scambio di sguardi tra collane, con particolare riferimento alle problematiche del lavoro e l’impatto ambientale, e non possiamo chiudere senza citare la collana Città possibile, che è anche il nome della nostra libreria editoriale a Milano, mutuando il nome dall’omonimo libro di Ivan Della Mea.
Come si riesce in questo secolo a mantenere la propria indipendenza editoriale?
L’indipendenza è anche capire come in questa epoca de-ideologizzata, ormai da qualche anno ben rappresentata anche da qualche salottino di sinistra di troppo, si possa continuare a essere fuori dal mainstream non per essere alla moda, ma per insistere su alcuni temi sui quali bisogna continuare a riflettere, costruendo intorno a questi temi una comunità di autori e lettori. Viene in mente un lavoro di qualche tempo fa sulla prostituzione, in particolare sulla tratta delle donne nigeriane, per il quale non siamo riusciti a trovare spazio in nessun modo, non si riusciva a promuovere il libro. Poi, a proposito di indipendenza editoriale, c’è un problema su tutti.
Quale?
Noi in Italia siamo distribuiti e promossi da Messaggerie libri, da tre anni divenuta Messaggerie-Feltrinelli. E in Italia esiste un monopolio orizzontale e verticale su tutta la filiera. Per paradosso, forse Mondadori è il problema minore, perché chi viola la legge antitrust è il binomio Messaggerie-Feltrinelli, il grande colosso dai piedi d’argilla, che appalta e sub-appalta, e non si ferma davanti a scioperi o iniziative legali, impedendoci anche di trattare direttamente con Amazon. In questa situazione endogamica, dove i rapporti di forza sono evidentemente squilibrati: tra promozione e distribuzione, chi ci rimette, chi resta soffocato, è l’editore. Dunque si tratta di difendere un’indipendenza commerciale ed editoriale, mentre ogni mese dobbiamo buttar fuori troppe “novità”, a discapito della qualità. E l’obbligo di dover passare da Messaggerie per trattare con Amazon è un unicum che si riscontra soltanto in Italia. In Germania, per dire, non accade così, il rapporto è diretto, come per qualsiasi altro prodotto trattato da Amazon.
Come si sopravvive a tutto questo?
Pescando nel catalogo circa 5 mila titoli “vivi”, che riproponiamo come “novità”; si sopravvive cercando idee alternative alle imposizioni del mercato editoriale. Si sopravvive sperimentando l’e-book, dove stiamo concentrando le nostre energie per offrire una proposta diversa ai nostri lettori, lavorando dallo statico all’evolutivo, dando vita a una cosiddetta realtà aumentata, in particolare per libri dedicati ai bambini e all’arte, sia per alcune novità che riproponendo alcuni titoli per un certo periodo solo attraverso questa formula. Siamo alla fine di un anno complicatissimo, per tutti i motivi che sappiamo, Sembra che i lettori siano in aumento, tra ombre e luci rispetto alle scelte di lettura. Ma per capirne di più dobbiamo aspettare i fatturati... Vedremo.