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Al FestivalFilosofia, nella splendida cornice di piazzale della Rosa a Sassuolo, grande interesse ed entusiasmo ha mosso le “parole per il nostro tempo” di Ivano Dionigi, Magnifico Rettore dell’Università di Bologna dal 2009 al 2015, insigne grecista e latinista. La tesi di Dionigi è che il nostro tempo ha dimenticato la cultura classica, umanistica, per una monocultura scientista e tecnocratica che è una sconfitta per l’umanità e una ferita nell’educazione delle nuove generazioni. “Un ragazzo deve sapere com’era prima, deve saper tradurre, mettere insieme il notum con il novum”, afferma Ivano Dionigi, evocando il senso stesso dell’istruzione. “Il filo rosso che unisce l’Italia” prosegue l’ex rettore di Bologna, “sono i suoi giovani, hanno lo stesso sentire. Là è la nostra salvezza. Mentre la mia generazione voleva uccidere il padre, il padrone, oggi i giovani non trovano più né padre, né il fratello maggiore. E dunque i maestri. Dove li trovano? Nei partiti, nella chiesa? Il fatto è che a nessuno frega più niente dei nostri giovani. Ma dov’è quel luogo che avviene quella relazione tra giovani e adulti, se non nella scuola? E la scuola sia aperta 24 ore su 24. E vogliamo pagare bene gli insegnanti? Tutto il resto sono chiacchiere”.
La riflessione di Ivano Dionigi ha inizio con l’articolo 9 della Costituzione, la quale recita che la Repubblica promuove la ricerca scientifica. Ora, “questo paese ha avviato un processo di cesura e censura degli studi classici ritenendoli inutili e conservatori. La tecnica nata come alleata della scienza non è più uno strumento ma una protesi che supera e perfeziona l’uomo, ma essa ormai va a intaccare gli stessi domini del linguaggio. Siamo presi nella prospettiva di creare qualcosa che ci superi. Cosa ci dicono i classici su scienza, tecnologia e macchine, se non una riproduzione del rapporto tra uomo e natura?”. Esistono “tre concezioni, tre prospettive della classicità”, avverte Dionigi. “C’è la tesi platonico-stoica, per la quale la natura non è solo necessità e fato ma anche provvidenza, principio divino cosmico, una ragione comune, un logos cosmos, che congiunge tutti gli esseri nel segno dell’armonia. L’uomo è al centro, è il luogo dove convergono tutte le armonie gerarchiche e ordinate. E la natura non ha bisogno dell’intervento dell’uomo, perché essa stessa è industriosa, artificiosa. Il telos dell’uomo è già prefissato, vivendo secundum natura, adattandosi ad essa, la grande madre”. Ma poi c’è il senso tragico della natura, quella che Nietzsche e Leopardi interpretarono come “impostura”. Dionigi cita Lucrezio: “l’uomo non è al centro dell’universo, la natura è caratterizzata da un grande vulnus. Siamo naufraghi sbattuti sulla riva, nudi e indifesi come un neonato. Il mondo non è fatto per l’uomo”. E infine c’è il Sofocle dell’Antigone, c’è il maestro di nichilismo: “Prometeo, l’uomo che ha risolto i problemi di tutti con le macchine, ha avuto il sapere dalla techné, ha risolto mali irrimediabili, trovato un farmakon per tutti, ha creato la politica e la morale. Ma dall’Ade, dalla morte, non è mai tornato”. Hegel lo avrebbe interpretato come l’immane potenza del negativo.
Ed è qui che la riflessione di Ivano Dionigi giunge al tentativo contemporaneo di superare con la tecnica i limiti dell’umano, e la sua risposta che punta a riscoprire Socrate. Dionigi propone “la riscoperta dell’ars interrogandi, la necessità di riappacificarsi col tempo, ormai considerato qual eterno presente e messo nell’angolo dallo spazio, senza una visione complessiva delle cose. I tempi spiegano le tecnologie ma chi spiega i tempi?”, si chiede il professor Dionigi. “E accanto a Prometeo sovrano io inserisco Socrate necessario, simbolo del pensiero umanistico, filosofico, colui che ha richiamato la filosofia giù dal cielo. La filosofia è quella che entra nelle fabbriche, nelle case, negli ospedali. Dio perdoni quei politici che dicono ‘ma questa è filosofia, io parlo di cose concrete’. Socrate, il filosofo, è l’inventore del dialogo, perché non c’è un logos unico. Egli era il professionista dell’ignoranza. Socrate sa di non sapere, è uno stalker interrogante. Socrate è il fautore del linguaggio comune della polis. La vita non è solo zoé ma bios, esistenza individuale, che segue l’episteme. Esplora i fini, interpretando la vita. Oggi invece assistiamo alla separazione tra sapere e potere, tra la cultura e la politica. Si osservino i politici di oggi: hanno 10 parole per fare politica e le usano anche male. Ma si potrà governare un paese in questo modo? Può avere futuro un paese governato così?”, si chiede ancora Dionigi. Ecco perché “abbiamo bisogno del pensiero umanistico e filosofico, quel pensiero che ci abitua al pensiero lungo e che costituisce la trama della nostra tradizione culturale”. Quel pensiero che va fortemente reintrodotto nelle nostre scuole e nelle nostre università per evitare che la iperspecializzazione uccida il senso critico e la ricerca di senso dell’esistenza e del vissuto.