Quando sono arrivata a Gerusalemme, nel dicembre del 2009, ho visto e sentito da vicino tutto quello di cui avevo letto e che avevo osservato da lontano. La città è una mescolanza separata e tesa e la sua bellezza è velata dall’aria pesante che si respira: le voci dei muezzin che si levano insieme, sfalsate quel tanto da creare un coro di contrappunti che si rincorrono, sembrano l’unica cosa in grado di sollevarsi sopra quel groviglio di astio e divisione.
È stato quello il prologo al viaggio che mi aspettava, breve e intenso, all’interno dei territori occupati. Ero lì per lavorare alcuni giorni con il World Food Programme – il Programma alimentare Mondiale - una missione fotografica nel field, uno dei tanti dove l’agenzia delle Nazioni Unite opera da anni, e il mio compito era documentare la distribuzione di derrate alimentari alla popolazione.
È così che sono uscita dalla città su una jeep con il logo azzurro per andare prima a Betlemme, dove ho visitato i magazzini dell’organizzazione e raggiunto il punto di distribuzione dove i cittadini si raccoglievano per prendere la loro quota di farina, uova, latte e zucchero, un esempio di quello che succede nel resto dei territori. Nei giorni seguenti abbiamo fatto visita ad alcune famiglie, per chiedere come si trovavano con quello che ricevevano e se c’era qualcosa che avrebbero voluto in aggiunta. Del riso, dissero.
A Nablus abbiamo visitato un orfanotrofio, a Hebron delle scuole. In una di queste ho scattato la foto che vedete: le bambine hanno le merende e le bevande che vengono distribuiti regolarmente, i dolci sono prodotti da un laboratorio locale. Ci aspettavano, sapevano che saremmo passati e che sarebbero state scattate delle foto, stavano composte e ridevano con gli occhi.
La scuola, i bambini, un luogo con i suoi piccoli abitanti che non dovrebbero essere toccati da niente.
Il World Food Programme è stato appena insignito del premio Nobel per la Pace “per i suoi sforzi per combattere la fame, usata come arma di guerra. Per il suo contributo al miglioramento delle condizioni per la pace in aree colpite da conflitti e per il suo agire come forza trainante per evitare l’uso della fame come arma di guerra e di conflitto”, perché quello che ho visto nella West Bank è quello che succede ogni giorno, moltiplicato, in tutto il mondo, ovunque ci siano guerre, carestie, calamità naturali, abbandono e separazione.
Nel 2019 il WFP ha portato cibo e assistenza a 97 milioni di persone in 88 paesi e durante la pandemia “ha dimostrato incredibili capacità nella lotta contro la fame nel mondo", hanno dichiarato a Oslo: le capacità di chi fa questo lavoro da quasi 60 anni nelle condizioni più aspre e nei contesti più difficili.