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Molti di noi hanno avuto modo di guardare Le jeune Karl Marx, la pellicola diretta da Raoul Peck nel 2017, uscita in Italia l’anno successivo per il bicentenario della nascita dell’uomo di Treviri (1818-1883) che, al di là di ogni giudizio critico o ideologico, ha cambiato il corso della storia, moderna e contemporanea.
Nel film, il ritratto delineato dall’interpretazione di August Diehl paga inevitabilmente l’esigenza di una narrazione che recuperi alcuni momenti fondamentali della giovinezza di Marx, in particolare l’incontro e l’amicizia con Friedrich Engels, insieme a lui autore del Manifesto del partito comunista nel 1848. Con il libro curato da Giulio Marcon, dal titolo Il giovane Marx. La radice delle cose (Jaca Book, pp. 339, euro 24) malgrado il soggetto e il periodo siano gli stessi, ci troviamo di fronte a qualcosa di ben diverso.
Già la documentata biografia curata da Marcon nell’introduzione, accompagnata da un corpus di note essenziale per seguire con agilità ogni riferimento, consente al lettore di ripercorrere i primi trent’anni della vita di colui che è stato filosofo e storico, economista e sociologo, politologo e politico. In più, l’analisi degli scritti pensati e apparsi in questo arco di tempo evidenziano anche la tempra del giornalista, a partire dai primi articoli sulle colonne de La Gazzetta Renana, per la quale Marx inizia a pubblicare dal 1842, divenendone direttore pochi mesi dopo.
Tra questi (circa trenta), Marcon ne seleziona alcuni che testimoniano da subito una a dir poco invidiabile attitudine di Marx alla scrittura, già frutto di quella applicazione allo studio che in una lettera Michail Bakunin, nel corso del loro travagliato rapporto, e dopo aver elencato le “cattive qualità” del carattere, definisce in questo modo: “È raro trovare un uomo dalle conoscenze così vaste, un uomo che abbia letto e capito quanto Marx”.
Il volume è diviso in sette capitoli, ciascuno presentato da una breve e utile scheda da parte del curatore che consente di analizzare i tratti essenziali e la crescita intellettuale dirompente di un ragazzo,costretto ben presto a fare i conti con l’antica pratica del nomadismo forzato, per chiamarlo così, se vuole rimanere fedele alla proprie idee, alla passione politica, all’amore intenso e impetuoso vissuto giorno dopo giorno per la sua Jenny, alla quale dedica poesie e sonetti la cui lettura, oltre a sorprendere, impreziosisce la raccolta di un originale luogo di osservazione.
Si incontrano così le fasi del progressivo distacco da Hegel, tra il 1843 e il 1844, e quelle caratterizzate dal “comunismo umanistico”, compreso tra il febbraio e l’agosto del 1844, sino ad arrivare alla resa dei conti con la filosofia dell’Idealismo e poi con l’altro gigante dei suoi studi iniziali insieme a Hegel, vale a dire Pierre-Joseph Proudhon, che Marx conosce personalmente sempre nel 1844, prima di replicare polemicamente alla sua Filosofia della miseria con l’ironico controcanto Miseria della filosofia (1847). Giunge infine il fatidico 1848, l’anno delle rivoluzioni borghesi e del Manifesto del partito comunista, in realtà inizialmente confezionato, come ben rileva Giulio Marcon, per esplicita richiesta della “Lega dei Giusti”, che commissiona a Marx ed Engels la scrittura sì di un testo politico, ma anche “di agitazione e di lotta”, e dunque promozionale, che i due trasformano durante la stesura attraverso vari passaggi dal taglio didascalico all’analisi storica, economica, politica.
Volendo scegliere uno scritto in particolare rimane impresso proprio il primo, datato 1835, quando dunque Marx aveva appena 17 anni. Si tratta del tema che chiude il suo ciclo scolastico prima dell’università, dal titolo Considerazioni di un giovane davanti alla scelta di una professione. Tra le tante riflessioni che colpiscono per la precoce capacità di approfondire un argomento non semplice per chi di lì a poco dovrà confrontarsi con la vita adulta, si trovano considerazioni come queste:
Chi sceglie una professione di cui ha grande stima si guarderà bene dal rendersi indegno si sé, ed anche solo per questo agirà in maniera nobile, poiché nobile è la sua posizione nella società. Ma la guida principale che ci deve soccorrere nella scelta di una professione è il bene dell’umanità, la nostra propria perfezione. Non si creda che i due interessi possano contrapporsi ostilmente l’uno con l’altro, che l’uno debba distruggere l’altro: la natura dell’uomo è tale, che egli può raggiungere la sua perfezione solo agendo per il perfezionamento, per il bene del mondo in cui si trova.
D’altra parte, soltanto pochi anni dopo, nell’introduzione a La critica della filosofia del diritto di Hegel, il giovane Marx scrive: “Essere radicali significa andare alla radice delle cose e la radice delle cose è l’uomo”. Una lezione valida più che mai e che molti di noi, di questi tempi, dovrebbero mandare a memoria.