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Se avessimo avuto la possibilità di viaggiare sulla DeLoreano o avere premonizioni alla Final Destination probabilmente avremmo adottato un sistema più prudenziale nell’affrontare il delicato tema delle nuove modalità di lavoro agile che la fase post pandemica da Covid-19 ci ha prepotentemente lasciato sul tavolo sindacale.
Magari avremmo avuto il tempo di poter attuare quel necessario approfondimento che Daniela Bauduin ed Elena Falletti ci consegnano attraverso il libro Sicurezza automazione e dignità del lavoro (Futura editrice, pp. 262, euro 16), a tratti un vero e proprio manuale che si pone quale anello di congiunzione tra vecchio e nuovo testamento. Nel mezzo, uno spazio libero in cui le organizzazioni dei lavoratori devono porre le basi per un nuovo modello di rappresentanza che sappia colmare le lacune che l’intelligenza artificiale inevitabilmente lascerà nel suo percorso.
Perché se è vero che l’emergenza sanitaria ci ha messo di fronte alla necessità di ricorrere in tempi rapidissimi a modalità lavorative in grado di salvaguardare la salute e la sicurezza dei lavoratori, inducendo una sperimentazione massiccia su tutte le realtà produttive pubbliche con effetti totalmente diversificati tra loro (si pensi alla capacità dimostrata da amministrazioni altamente informatizzate come l’Inail rispetto ad altre realtà, anche locali, dove la digitalizzazione del lavoro è tutt’ora fortemente arretrata), non si è però stati in grado di gestirne gli effetti culturali che giorno dopo giorno si ramificavano all’interno delle lavoratrici e dei lavoratori: si è passati da una diversa modalità organizzativa, quindi da adottarsi secondo modelli organizzativi ben definiti, ad un vero e proprio diritto alla delocalizzazione del lavoro.
Quel richiamato cambio culturale ed educativo che le autrici approfondiscono attraverso uno strumento che è in grado di rivolgersi anche alle nuove generazioni di lavoratori nati in quel contesto di confusione vissuto dai propri genitori e consolidatosi nel corso degli ultimi anni.
Il rischio che il sistema produttivo possa ammalarsi di superficialità è quanto mai attuale. L’utilizzo di applicazioni e social network che illudono i nostri figli facendogli credere di essere parte integrante di una società virtuale, allontanandoli sempre più dalla realtà, è il primo passo verso quella disintermediazione sociale che ne minerà diritti e rappresentanza. L’uso spasmodico di modalità lavorative agili, può produrre solamente lavoratori fragili.
Da questo concetto è necessario muovere nuove riflessioni, studiare nuove modalità di intervento, rivedere il proprio posto nel nuovo mondo, essere custodi di quei valori che rappresentano l’unico backup in grado di non perdere mai le proprie radici e riacquistare quella capacità di essere guida per le nuove generazioni.
Alessio Mercanti è coordinatore nazionale Fp Cgil Inail